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Questo articolo è stato pubblicato il 23 febbraio 2014 alle ore 16:29.
L'ultima modifica è del 23 febbraio 2014 alle ore 18:11.

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La Cina scippa all'India il primato mondiale di maggior importatore mondiale di oro, bene rifugio per eccellenza. Segno che gli investitori corrono ai ripari per i timori che scoppi la bolla creditizia nel colosso asiatico o che sia una mossa della Banca centrale cinese per accumulare riserve a discapito del dollaro, sono diverse le teorie degli analisti in merito alla nuova tendenza. Ma c'è chi vi vede semplicemente l'effetto dei rincari doganali introdotti dal governo di Nuova Delhi nel 2013 Infatti: tra il secondo e il terzo trimestre dello scorso anno la domanda è crollata del 52%.

Il tutto mentre le quotazioni del metallo prezioso tornano a salire a 1.320 dollari l'oncia, ai massimi da novembre scorso, quando hanno toccato il punto più basso vicino ai 1.200 dollari. Comunque siamo ben lontani del record storico segnato tra l'estate e l'autunno del 2011, nel pieno della crisi economia e dei rischi default, a oltre 1.900 dollari l'oncia.
Dati alla mano, la domanda cinese di lingotti, monete e gioielli è cresciuta del 32%, sotto la spinta del calo delle quotazioni del metallo prezioso dello scorso anno (-28% su base annua), per la prima volta dopo 13 anni di rialzi. Secondo i dati del World Gold Council, lo scorso anno Pechino ha importato 1.066 tonnellate di oro, contro le 975 dell'India.

Secondo gli analisti, anche i timori di un rallentamento dell'economia cinese, dei uno scoppio della bolla immobiliare e un fragile sistema finanzario hanno senza dubbio spinto gli investitori ad acquistare oro, avendo in questa fase poche altre alternative di investimento.

D'altra parte non è un mistero che in Cina il boom del credito sta mettendo sotto stress la sostenibilità finanziaria. Dal 2008 alla fine del 2013, il credito nel Paese è cresciuto di 15mila miliardi di dollari, circa il 140% del pil attuale, portandosi a 24mila miliardi. Solo a gennaio i nuovi prestiti sono aumentati di 218 miliardi di dollari; su base annua, si è trattato di un incremento di circa il 20%, su mese del 174 per cento.

Per non parlare dei rischi legati al sistema bancario-ombra, quella galassia di fondi speculativi che sfugge ai controlli previsti per le banche tradizionali. Nel 2012 il banking shadow nel colosso asiatico ha segnato un incremento del 42%, a livello globale dell'8 per cento. Una situazione tutt'altro che rassicurante che spiegherebbe la risalita dei prezzi dell'oro, ma di certo a ritmi ben lontani dai picchi della crisi di tre anni fa.

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