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Questo articolo è stato pubblicato il 12 marzo 2014 alle ore 16:25.
L'ultima modifica è del 12 marzo 2014 alle ore 18:57.

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L'oro è ai massimi da quattro mesi, oltre 1.350 dollari l'oncia. Ma a dominare l'attenzione degli operatori non è solo il rally dei prezzi, ma il timore che il fixing possa essere stato manipolato per anni. Nel giro di pochi giorni è già salito a due il numero di azioni giudiziarie intentate negli Stati Uniti contro le cinque banche coinvolte nella definizione del benchmark, un riferimento utilizzato in un mercato da oltre 20mila miliardi di dollari .

Il Wall Street Journal ha diffuso la notizia che è stata depositata una seconda causa che ambisce a diventare class action e questa volta a farsene promotore è una società, anziché un singolo investitore: si tratta di Ais Capital Management, società del Connecticut con circa 400 milioni di $ in gestione a fine 2013 e diversi fondi specializzati in materie prime. I termini della denuncia sono identici a quelli già presentati la settimana scorsa da Kevin Maher, residente a New York: dal 2004 Barclays, Bank of Nova Scotia, Deutsche Bank, Hsbc e Société Générale avrebbero cospirato per manovrare a proprio vantaggio il fixing. Un'ipotesi «priva di merito e da cui ci difenderemo con vigore» ha ribattuto Deutsche, che due mesi fa ha annunciato l'uscita dal "club" del fixing. Repliche dello stesso tenore sono arrivate anche da SocGen e Scotiabank.

A dare impulso alle azioni giudiziarie sembra aver contribuito in modo decisivo la recente anticipazione dei risultati di una ricerca di due studiosi americani: Rosa Abrantes Metz – docente della Stern School of Business dell'Università di New York, già nota per aver sollevato perplessità sul Libor, prima dello scandalo sulla sua manipolazione – e il marito Albert Merz, managing director di Moody's (ma ricercatore a titolo privato, si è affrettata a chiarire l'agenzia di rating).

Lo studio, ancora in corso, ha evidenziato reazioni «insolite» sul mercato dell'oro in corrispondenza del fixing pomeridiano, intorno alle 16 ora italiana: osservazioni già fatte da altri ricercatori (si veda Il Sole 24 Ore del 27 novembre 2013) ma che spingono i Merz a dire che «la struttura del benchmark certamente favorisce la collusione e la manipolazione» e che «è probabile che possa esserci collaborazione tra i partecipanti», ossia le banche che due volte al giono in conference call partecipano al fixing.

Smontare la teoria sarà compito degli studi legali. Nel frattempo si è fatto avanti Ross Norman, ceo di Sharps Pixley, broker che fino al 1994 occupava il posto di Deutsche nel fixing: la conference call non è affatto segreta, obietta Norman, ma vi partecipano anche i clienti degli istituti impegnati in transazioni – compravendite reali di oro, di cui peraltro si tiene conto nel fixing – e il numero di soggetti coinvolti depone contro l'ipotesi di collusione. Ovvio inoltre che il mercato si muova più al fixing pomeridiano che a quello mattutino, prosegue il ceo di Sharps Pixley, perché solo allora è aperta anche New York. Ovvio anche che i movimenti siano spesso al ribasso, come notato dai Merz, perché le transazioni al fixing sono fatte soprattutto da società aurifere, che per fare hedging vendono oro.

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