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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2014 alle ore 19:52.
L'ultima modifica è del 06 maggio 2014 alle ore 22:14.
BRUXELLES – I paesi della zona euro interessati ad adottare una tassa sulle transazioni finanziarie hanno annunciato stamani di avere trovato un primo accordo politico su una iniziativa che rimane controversa in molti stati membri dell'Unione Europea. L'obiettivo dei paesi - tra cui l'Italia, la Germania e la Francia - è di introdurre la nuova imposta entro il 1° gennaio 2016. La tassa, se approvata, verrà applicata alle transazioni relative ad azioni e ad alcuni tipi di derivati.
L'annuncio è stato dato dal ministro delle Finanze austriaco Michael Spindelegger durante la riunione dell'Ecofin qui a Bruxelles. Una tassa sulle transazioni finanziarie è stato oggetto di accesi negoziati fin dal 2011 quando fu proposta dalla Commissione europea nel tentativo anche di responsabilizzare il settore bancario dopo lo scoppio della crisi finanziaria. Dinanzi all'opposizione di molti paesi, undici stati hanno deciso di puntare su una cooperazione rafforzata, come autorizzati dai Trattati.
I paesi coinvolti dalla Tobin Tax, come viene chiamata in Italia, sono la Germania, la Francia, il Belgio, la Spagna, l'Austria, il Portogallo, la Slovacchia, la Grecia, l'Estonia e l'Italia (la Slovenia, in crisi politica, non ha sottoscritto l'accordo di oggi). Questi paesi hanno negoziato per mesi tanto la questione era spinosa. Il risultato è un compromesso che prevede l'adozione a tappe e l'imposizione solo per le azioni e alcuni tipi di derivati. Escluse le obbligazioni pubbliche, come chiesto dal governo italiano.
Durante la riunione di stamani, a criticare il progetto sono stati tra gli altri il Regno Unito, la Svezia e la stessa Banca europea per gli investimenti. «Non esiteremo a trascinare il progetto dinanzi alla Corte europea di Giustizia se dovessimo notare rischi di extraterritorialità, o se si rivelasse dannoso per la Gran Bretagna o per lo stesso mercato unico», ha detto il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne. Svedesi e danesi hanno messo l'accento sulla mancanza di dettagli e su negoziati poco trasparenti.
Il dossier, che raccoglie il favore di una fetta dell'elettorato europeo, ha superato ieri una tappa importante, ma certo non definitiva. I paesi interessati devono ora negoziare la tassa a livello tecnico. Non sarà facile perché le critiche sono molte, per ultima ieri quella di Business Europe. Se mai vedrà la luce, la nuova imposta avrà un gettito assai più limitato di quella immaginata a suo tempo dalla Commissione che sperava in una raccolta fiscale pari a 35 miliardi di euro all'anno.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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