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Questo articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2014 alle ore 16:27.

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Mark Carney, governatore della Bank of EnglandMark Carney, governatore della Bank of England

Si chiude un'epoca, se ne apre un'altra. Le dichiarazioni di Mark Carney, il governatore della Bank of England, hanno dato inizio alla stretta della politica monetaria britannica; molti economisti si chiedono ora quando comincerà davvero anche quella americana. In ogni caso, la lunga stagione dei tassi a quota zero si avvia alla fine.

Una Gran Bretagna molto brillante
Tutti si aspettavano che la Gran Bretagna sarebbe stata la prima. A parte il caso – tutto particolare – della Nuova Zelanda, che ha già alzato i tassi, era evidente che l'economia britannica era ormai in una forma tale da richiedere una normalizzazione della politica monetaria: il pil del primo trimestre è cresciuto del 3,1% rispetto a un anno prima (e dello 0,8% rispetto al quarto trimestre 2014), la disoccupazione era al 6,6% a febbraio, mentre l'inflazione era all'1,8% ad aprile, vicino quindi all'obiettivo del 2% (e martedì 17 arriverà il nuovo dato). I prezzi delle case, in particolare, sono in forte rialzo.

La sorpresa dei mercati
Le parole di Carney hanno comunque preso di sorpresa gli investitori, e non poteva essere altrimenti. Il primo rialzo dei tassi, dall'attuale livello dello 0,5% «potrebbe avvenire prima di quanto i mercati attualmente si aspettano», ha detto. Prima quindi della seconda metà del 2015 indicato da molti analisti. Il governatore, pur aprendo un nuovo clima, è stato in ogni caso piuttosto cauto: ha spiegato che la decisione sul rialzo «sta diventando più bilanciata» all'interno del board – il comitato di politica monetaria, Mpc – e questo probabilmente significa, notano Armela Mancellari e Fabrice Montagne di Barclays, che già nei verbali pubblicati il 10 luglio emergerà qualche voto a favore di una stretta. Un'idea, questa, in buona sostanza condivisa anche da David Bloom e Daragh Maher di Hsbc. Carney ha poi precisato che la Bank of England non ha di fronte a sé «cammino predeterminato», e che ogni decisione dipenderà dai dati economici in arrivo.

Una stretta «graduale e limitata
È molto probabile che la stretta sia «graduale e limitata», come ha detto lo stesso Carney, in quanto il livello di indebitamento della Gran Bretagna resta elevato: 90% del Pil il debito pubblico, ma soprattutto il 186% quello privato: in Italia è al 132%. Se graduale e limitata dovrà essere, hanno però sostenuto Charlie Bean e Martin Weale, che siedono nel Comitato di politica monetaria, occorre allora partire prima; e la posizione del loro collega Ian McCafferty, per quanto più sfumata, non è molto distante. La reazione dei mercati e del valutario in particolare – che hanno dovuto rivedere le loro aspettative – è stata in ogni caso immediata: l'euro è scesa sotto 80 pounds mentre la sterlina a sua volta si avvicinava a quota 1,70 dollari. Il tasso implicito espresso ora dai future con scadenza marzo 2015 è dell'1,13%, da 0,95% del giorno precedente.

Poi toccherà alla Fed
È inevitabile che gli analisti si chiedano, ora, se il 17 giugno anche la Federal reserve possa cambiare passo. Quella riunione del Fomc (il Federal open market committee, il comitato americano di politica monetaria) è importante perché accompagnata dalle nuove previsioni su crescita, inflazione, occupazione e tassi ufficiali. Harm Bandholz di UniCredit Group ha sottolineato come i governatori americani prevedano per la fine del 2016 un'inflazione e un tasso di disoccupazione a livelli "normali" ma, nello stesso tempo, indicano un tasso ufficiale al 2,25%, meno di quel 4% che – secondo la stessa Fed – rappresenta attualmente il tasso neutrale per gli Stati Uniti. Per riportare coerenza tra i dati, l'unica possibilità sembra quindi essere un anticipo del rialzo dei tassi, dal momento che sembra ora improbabile un peggioramento drastico delle previsioni sull'attività economica.

Ogni cosa al suo tempo, ma come?
Finora si era inoltre immaginato che la prima stretta avvenisse non solo dopo la fine del quantitative easing (ora prevista a dicembre, anche se alcuni analisti puntano su ottobre), ma anche dopo la fine della politica di reinvestimento dei titoli venuti a scadenza. Il presidente della Fed di New York William Dudley e quello della Fed di San Francisco John Williams hanno però suggerito di anticipare il rialzo. Benjamin R. Mandel di Citigroup invita allora a guardare alle previsioni: se quelle sull'inflazione restassero invariate e quelle sulla disoccupazione calassero di 0,3 punti percentuali dal 2014 in poi, una regola ottimale di politica monetaria (la Taylor Rule) prevedrebbe tassi più alti di 0,6 punti nel 2015 e 2016. La Fed ha sempre agito più lentamente di quanto questa regola imponga, ma – spiega Mandel – la probabilità che questa volta modifichi i tempi del rialzo non va sottovalutata.

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