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Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2014 alle ore 11:40.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 18:39.

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I numeri non ingannano. Il 5 giugno scorso, giorno in cui la Bce di Mario Draghi ha presentato le sue proposte anti-deflazione, l'euro contro il dollaro viaggiava intorno a 1,366. Poche giornate dopo, l'11 giugno, la quotazione della divisa unica era scesa a 1,35. Oggi scambia a 1,364 sul biglietto verde. Insomma, dopo essersi fatto un giro al ribasso, la moneta di Eurolandia è tornata al punto di partenza.

Certo, può obiettarsi che solamente l'11 maggio il cambio euro-dollaro era ben più in alto (1,39). E, quindi, un qualche effetto la Bce l'ha avuto. Inoltre, è indubbiamente troppo presto per valutare il vero impatto delle mosse volute da Eurotower. E, tuttavia, (fin qui) l'obiettivo di fare scendere le quotazioni dell'euro non è stato raggiunto.

I mercati non capiscono...
In molti si chiedono il perchè. Le risposte sono molteplici. Diversi esperti, dapprima, sottolineano per l'appunto che è troppo presto per tirare le somme. Come era accaduto con l'Ltro i mercati non hanno ancora prezzato la reale portata della strategia di Mario Draghi.

...le parole non sono più sufficienti...
Altri, invece, incominciano a dubitare dell'effettivo impatto delle scelte di Eurotower. A ben vedere, è l'indicazione, la Bce nel recente passato ha sfruttato molto la persuazione «verbale» nei confronti dei mercati. Basta ricordare il famoso «Believe me...», pronunciato a Londra a fine luglio 2012. In quell'occasione Mario Draghi aveva indicato che avrebbe fatto di tutto per evitare il break up della moneta unica. Ebbene, successivamente sono state messe in campo diverse concrete operazioni. E però, i limiti statutari della Bce hanno impedito mosse realmente straordinarie. Tanto che parte dei risultati raggiunti è da attribuirsi più all'impatto delle parole che alla reale politica monetaria. Un fatto, quest'ultimo, assolutamente legittimo. E che, tuttavia, incomincia a perdere di efficacia.

...la bilancia commerciale e le riserve della Cina...
Ma non è solamente il verbo di Draghi. Rilevano anche variabili congiunturali e commerciali. In primis, c'è il surplus della bilancia commerciale europea, in particolare della Germania, che sostiene la divisa di eurolandia. E non solo. Fondamentale è anche la volontà di diversificazione delle riserve da parte della Banca centrale cinese. Una strategia finalizzata a ridurre il legame di Pechino nei confronti, soprattutto, del dollaro statunitense. Ebbene, per raggiungere l'obiettivo, la Cina, primo esportatore al mondo, tende a favorire il pagamento delle merci in valute diverse dal dollaro. In particolare viene favorito lo yuan. O l'euro. Così, non è un caso che da un lato circa il 70% delle merci mondiali sono denominate nel biglietto verde; e, dall'altro, solo intorno al 40% viene pagato nella moneta statunitense. È la conseguenza della necessità, di chi commercia con il Paese del Dragone, di comprare euro e ridurre, invece, gli acquisti di dollari. In un simile scenario, non può suscitare sorpresa la persistenza debolezza del biglietto verde e (al contrario) la forza dell'euro.

...«servi di troppi padroni»...
Già la forza dell'euro. Questa, a ben vedere, non è mai stata apertamente criticata dalla Germania. Anzi, più volte il portavoce della Merkel ha sottolineato che il cambio valutario non rientra negli obiettivi dell'istituto centrale. Non c'è, ovviamente, da stupirsi. Berlino infatti, facendo leva sulla sua forte struttura industriale, non ha mai fatto mistero di valutare il livello intorno a 1,40 della moneta unica verso il dollaro come accettabile. Certo, se il valore scende non ci si lamenta. E, però, il super-euro non è la priorità dei problemi. In un simile contesto la Bundesbank mette spesso i bastoni tra le ruote a Draghi. «Smorza» l'efficacia delle sue strategie. E permette alla Fed, che non deve rispondere a «diversi padroni» e ha ben chiari i suoi obiettivi, di mantenere basso il biglietto verde.

...e i flussi di capitale
«Last but not least» incidono i flussi di capitali. Nel capitalismo finanziarizzato in cui viviamo troppo spesso si dimentica l'impatto della liquidità (elettronica) che, grazie alla rete di computer, server e piattaforme di scambio si sposta velocemente in tutto il globo da un asset all'altro. Così, paradossalmente, proprio le possibili nuove strategie della Bce (in particolare il programma sugli Abs) attirano capitali in cerca di rendimento verso Eurolandia. Questo, inevitabilmente, spinge l'euro verso l'alto. Ancora una volta.

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