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Questo articolo è stato pubblicato il 29 giugno 2014 alle ore 15:28.
L'ultima modifica è del 01 luglio 2014 alle ore 19:34.

A Washington (ma anche a Londra e Francoforte) si starebbe insomma tentando di pilotare i mercati verso una sorta di «soft landing», un atterraggio dolce e non la burrascosa disfatta di 5 anni fa. Questo elemento, unito al fatto che la liquidità (cioè il parcheggio del denaro) rende ormai zero ovunque e che la volatilità è praticamente scomparsa dai mercati è in grado di spiegare il vento in poppa che ha accompagnato gli investimenti in questi primi sei mesi, compresi i rialzi non pronosticati dei titoli di Stato Usa (+3,2%) e tedeschi (+4,8%) e la resurrezione degli emergenti (+7,6% per i bond, +4,3% per le azioni).

Bolla speculativa o meno, è evidente che un atteggiamento più prudente da parte dei risparmiatori può essere una scelta saggia. «Spesso in passato segnali come la volatilità ai minimi e l'umore degli investitori alle stelle hanno preannunciato un'inversione di tendenza», ammette Laura Nateri, responsabile per l'Italia di Aberdeen Am, che però non invita necessariamente a chiudersi in difesa: «In un simile contesto – aggiunge – sarà semplicemente necessario essere più selettivi e tornare a considerare i fondamentali, perché le buone opportunità esistono ancora».

Pur tenendo bene a mente che le mosse di Yellen, Draghi e soci resteranno il principale volano dei mercati, nel prossimo futuro le insidie potranno sorgere dalla crescita Usa e da quella globale (probabilmente non all'altezza della aspettative) o dalla dinamica dei prezzi in Europa (la deflazione è uno spettro tutt'altro che scacciato), ma anche dal riemergere di fattori esogeni. «La crisi Russia-Ucraina è passata in secondo piano – conferma Nateri – ma è tutt'altro che risolta, ed è in grado di esercitare un impatto importante sul mercato proprio per la presenza della Russia sui mercati e nei portafogli degli investitori».
In queste condizioni può del resto essere sufficiente una semplice scintilla (l'Iraq, o altre variabili geopolitiche, per esempio) per appiccare incendi di vaste dimensioni. «Su alcuni segmenti del reddito fisso come high yield, emergenti, ma anche sui Treasury che sono ormai quasi tutti in mano alla Fed – avverte Piersimoni – esiste un potenziale rischio di illiquidità che passa in genere inosservato ma che può diventare molto pericoloso nelle fasi di stress sui mercati». Il meccanismo che ha provocato le reazioni a catena nel 2008-2009 non è dunque stato completamente smantellato dagli organismi di controllo: un altro buon motivo per farsi più accorti.

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