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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2014 alle ore 13:36.
L'ultima modifica è del 28 agosto 2014 alle ore 14:15.

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L'Italia, terza economia dell'Eurozona, ha un debito pubblico che ha superato quota 2mila miliardi. Per l'esattezza siamo a 2.063 miliardi. La Francia, seconda economia dell'Eurozona, ha un debito pubblico di 2mila miliardi. E la Germania, prima sul podio, ha un debito pubblico di 2.147 miliardi di euro (dati Eurostat a fine 2013).

Il debito è una grandezza che a livello nominale tende a crescere perché bisogna aggiungere l'inflazione della moneta, salvo nei casi in cui c'è deflazione (come potrebbe essere per molti Paesi dell'Eurozona questo 2014). Tende a crescere anche quando un Paese chiude l'anno in deficit di bilancio. A buona parte dei deficit contribuiscono gli interessi passivi che si pagano sul debito. L'Italia è un esempio in questo caso. Da otto anni consecutivi chiude con un saldo primario positivo (quindi ricava da tasse e altri introiti più di quanto spende). Finisce in deficit nel momento in cui si aggiungono alla formula anche gli interessi passivi sul debito che, per quanto riguarda l'Italia, ammontano a circa 80-90 miliardi di euro l'anno, ben superiori rispetto a quanto pagano Germania e Francia nonostante la prima abbia un stock di debito più consistente di quello italiano. Basti pensare che dal 1980 l'Italia ha pagato in termini di interessi oltre 3mila miliardi, più di quanto oggi amnonta il debito stesso.

Ma il debito pubblico, analizzato come grandezza a se stante, ci dice poco (al di là del fatto che su esso maturano degli interessi). Innanzi tutto va detto che il debito pubblico è anche il credito di chi lo possiede: in Italia è per gran parte in mano a banche e assicurazioni, poi per un 10-15% in mano ai risparmiatori e per un 30-35% in mano a investitori esteri (per cui non è propriamente vero che un neonato italiano nasce con 35mila euro di debito da espiare).

E poi, per avere un confronto ponderato tra i vari Paesi viene utilizzato il parametro debito pubblico/Pil. Cioè si rapporta l'ammontare del debito al Pil, ovvero alla ricchezza prodotta in un Paese. Il Pil viene anche definito reddito degli attori di un Paese o somma della domanda aggregata tra questi: famiglie (consumi), imprese (investimenti), Stato (spesa pubblica), domanda estera (differenza tra esportazioni e importazioni).

Questo rapporto ci dice che l'Italia ha un quadro meno favorevole di Germania e Francia. In Germania il debito/Pil è del 78%, in Francia del 92% e in Italia del 132%. Nel 2007, prima che scoppiasse la crisi internazionale scatenata dal collasso delle banche americane ed europee (che avevano esagerato con prodotti derivati), il debito/Pil dell'Italia era del 103%, più basso del 113% relativo al 1999. In sette anni il rapporto debito/Pil dell'Italia è aumentato di circa 30 punti. Questo però è dovuto non tanto all'incremento del debito nominale, quanto piuttosto al collasso del denominatore, il Pil. In termini reali (depurato cioè per gli effetti dell'inflazione) il Pil dell'Italia ha perso il 9% dall'inizio della crisi. Una delle principali cause - sono in pochi ormai a dire il contrario - è stata la rigida politica di austerità adottata dalle autorità europee sulla base di calcoli previsionali errati sul moltiplicatore fiscale (si ipotizzava che una riduzione di 100 punti di debito corrispondesse a una riduzione di Pil di 50 punti, invece il moltiplicatore della disciplina fiscale è stato molto più ampio e ha causato nell'area euro una riduzione di Pil fino a 170 punti).

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