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Questo articolo è stato pubblicato il 01 settembre 2014 alle ore 14:38.
L'ultima modifica è del 01 settembre 2014 alle ore 17:58.

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Nell'ultima rilevazione il tasso interbancario Eonia è scivolato sotto zero, attestandosi a -0,004 per cento. È un passaggio significativo perché simbolico del fatto che l'Eurozona è passata, per certi versi, da una fase dei tassi a "0" a quella dei tassi negativi. C'era da aspettarselo perché lo scorso giugno la Banca centrale europea ha portato a -0,1% il tasso sui depositi presso la Bce, ovvero quello che la Bce paga alle banche private che vi parcheggiano la liquidità. Da allora, la Bce non paga più nulla per questa liquidità, anzi chiede in cambio una tassa, lo 0,1 per cento. Questo, come parte delle misure per indurre le banche a ridurre le riserve in eccesso, prodotte dalla crisi di fiducia bancaria.

Inoltre, in vista della riunione della Bce di giovedì, cresce l'aspettativa di ulteriori tagli. Secondo Jp Morgan il tasso sui depositi in Bce potrebbe essere portato a -0,2 per cento. Le previsioni riguardano anche un taglio del main refinancing rate (quello che le banche pagano alla Bce per chiedere soldi in prestito), dallo 0,15% allo 0,05%.

È qui che entra in ballo l'Eonia, il tasso interbancario overnight che misura il costo degli scambi di denaro tra banche a fine serata, quando sono chiamate a coprire con riserve gli impieghi in modo tale da avere sempre a disposizione la riserve minime obbligatorie. In pratica, se una banca è in scoperto di riserve chiede un prestito a un'altra banca (o alla banca centrale) e tutto si sistema. L'Eonia è questo tasso: la banca A presta alla banca B a fine serata e la banca B restituisce il tutto il giorno dopo. Il rischio di credito che prende la banca A è di una sola notte - per quanto si tratti di un prestito privo di garanzie, quindi unsecurited - infinitesimamente piccolo. Ma non rischio 0, sia ben chiaro, basta vedere la crisi di fiducia interbancaria occorsa negli Usa e in Europa dopo il fallimento di Lehman Brothers nel 2008.

La Bce ha stabilito che le banche che hanno riserve in eccesso devono pagare alla Bce una tassa dello 0,1%. Questo per abbassare il pavimento delle possibili variazioni tecniche del tasso Eonia che non può essere maggior del main refinancing rate e non minore del deposit rate.

Dopo un po' di tentennamento l'Eonia si sta adeguando al tasso sui depositi, avvicinandosi quindi al -0,1%. ««Quando le riserve sono in eccesso e c'è un normale clima di fiducia tra le banche, il tasso di interesse scende fino al limite inferiore, che adesso è negativo. Se invece il tasso interbancario è più alto del main refinancing rate stabilito dalla Bce (-0,15%, ndr) vuol dire che il clima non è sereno», spiega Andrea Terzi, professore di economia monetaria all'Università cattolica del Sacro Cuore e docente presso la Franklin University Switzerland. «Nei mesi antecedenti alla manovra di giugno, il tasso Eonia era più alto e più volatile di quello che la Bce avrebbe voluto. In altre parole la Bce aveva difficoltà a fissare il tasso della politica monetaria. Cio' in quanto, nonostante un quadro generale di eccesso di riserve, molte banche preferivano tenerle piuttosto che metterle nel mercato interbancario. Cio' ha portato il tasso interbancario su livelli più alti. Oggi le riserve sono ancora in eccesso ma il mercato interbancario e' meno frammentato. Lo dimostra appunto il fatto che il tasso Eonia sta scendendo, allineandosi al tasso Bce. Per questo motivo l'obiettivo della Bce, cioè quello di normalizzare il tasso interbancario in linea con quello che ha fissato, può dirsi quasi raggiunto. Vuol dire che da un punto di vista monetario la politica di Draghi sta funzionando: voleva abbassare l'interbancario e sbloccare il mercato di prestiti fra banche. Eppure, definirei questa operazione un successo operativo e un fallimento strategico».

È possibile che nei prossimi giorni la Bce annunci altre misure. Secondo cinque economisti di un panel di Bloomberg l'istituto di Francoforte potrebbe tagliare il tasso di riferimento (quello che le banche pagano per chiedere soldi in prestito alla Bce) di 10 punti, dall'attuale 0,15% allo 0,05%. Ma sull'efficacia non tutti sono d'accordo. «Penso che la politica dei tassi prossimi a zero ha effetti contradditori e questo lo dice la teoria della trasmissione della politica monetaria: in una stagnazione, quando le banche si confrontano con un'economia debolissima, tassi di interesse bassi non bastano e possono essere addirittura essere controproducenti. Ridurre ulteriormente il main refinancing rate (sui prestiti della Bce alle banche) non serve a far ripartire l'economia reale - prosegue Terzi -. Sempre più osservatori lo riconoscono: dalla crisi si esce risollevando la domanda depressa con strumenti fiscali, non monetari. Come ad esempio un taglio delle imposte coordinato in tutta Europa, finanziato da bond europei garantiti dalla Bce. I trattati europei impediscono alla Bce di finanziare singoli Stati, ma non il sistema attraverso un bond europeo. Questo sarebbe certamente più potente del quantitative easing in stile americano, di cui si parla adesso anche in Europa. Lo sostengo da tempo nel mio libro "Salviamo l'Europa dall'austerità" e noto che adesso questo argomento è entrato nel dibattito anche di alcuni economisti. Come nella recente proposta di deficit spending di Tabellini e Giavazzi. Anche Draghi e Merkel sembra che ne parlino. Con opinioni differenti, certo, ma il fatto stesso che ne parlino è un segnale di novità.».

E spingere le banche a nuovi prestiti attraverso l'operazione Tltro (Target long refinancing operation, l'operazione di prestito quadriennale alle banche a tassi agevolati che la Bce lancerà il 18 settembre) potrebbe servire? «Bisogna capire che il credito bancario non è mai condizionato dalla disponibilità in bilancio di riserve in eccesso - continua Terzi -. Ogni banca ha accesso alla liquidità in ogni momento al costo opportunità fissato dalla Banca centrale. Quindi dare più liquidità può servire a tranquillizzare gli istituti di credito e a normalizzare ulteriormente il mercato interbancario ma non è necessariamente un incentivo a prestare. Quando prestano, oggi le banche guardano a tre cose: 1) la qualità del cliente; 2) l'utile, quindi lo spread tra tasso attivo e passivo; 3) i requisiti di capitale, capital ratio, ovvero se sono già sovraesposte o meno. La quantità di riserve non c'entra nulla. È l'idea della teoria del moltiplicatore monetario, ormai obsoleta che si riferiva a un sistema in cui la moneta era esogena. Ma oggi sappiamo che la moneta è endogena. Se n'è accorta anche la Banca di Inghilterra in una pubblicazione di quest'anno».

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