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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2014 alle ore 07:15.
L'ultima modifica è del 11 novembre 2014 alle ore 08:31.

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Nel terzo trimestre del 2014 la Spagna ha registrato una crescita del Pil dello 0,5% su base annua. Nel frattempo il tasso di disoccupazione è sceso al 23,6%. Il Prodotto interno lordo è in crescita anche in Portogallo (+0,8%) e (dopo sei anni consecutivi di recessione) anche la Grecia che dovrebbe chiudere il 2014 con una crescita del Pil dello 0,6%. Per non parlare dell’Irlanda che ha messo a segno uno spettacolare +7,7% nel Pil su base annua nel secondo trimestre 2014.

Numeri importanti che indicano senza dubbio, in prima battuta, che i Pigs (Portogallo, Irlanda, Spagna e Grecia) hanno superato la bufera che li ha portati in ordine sparso a chiedere l’aiuto esterno della Troika (Bce-Fmi-Unione europea) con prestiti nelle fasi in cui i mercati davano loro poco credito.

A osservare questi numeri sembrerebbe che i Pigs stiano messi meglio dell’Italia che invece si avvia al terzo anno consecutivo di recessione e che secondo Moody’s dovrebbe registrare un Pil invariato nel 2015.

Ma è davvero tutto rose e fiori per i “vecchi Pigs”? Il peggio è alle spalle? «Tutti vorremmo rispondere “sì” a questa domanda ma se però proviamo a scendere più in profondità, scopriamo che dietro il recupero dei Pigs si nascondono dei profondi squilibri esterni, in alcuni casi gli stessi che li avevano condotti qualche anno fa in crisi - spiega Sergio De Nardis, capoeconomista di Nomisma -. Ci sono alcuni parametri che in questo momento non vengono considerati dai mercati ma che evidenziano nuovi potenziali segnali d’allarme. Parametri che indicano che alcuni Paesi non stanno crescendo in modo sano».

È come se l’aggiustamento in atto nei Pigs abbia dato una nuova breve linfa ma, guardando al lungo periodo, non si può non notare che gli squilibri esterni sono tornati a crescere e in alcuni casi sono tornati agli stessi livelli che, qualche anno fa, li avevano portati in crisi. Il che getta una pesante ombra sulla ripartenza annunciata e sulla gestione complessiva della crisi nell’Eurozona.

Spagna
Cominciamo dalla Spagna, senza dubbio il Paese che ha compiuto il maggiore sforzo di svalutazione interna tra quelli dell’Eurozona in questi anni. Sforzo che ha fatto triplicare il tasso di disoccupazione dall’8% al 24%. «In questo modo il Paese ha recuperato competitività rispetto al Nord Europa. Non a caso nel triennio 2011-2013 è stato quello che ha visto crescere di più in termini percentuali le esportazioni nell’area. Ciò ha contribuito a esibire una buona congiuntura, un miglioramento del costo di accesso al mercato e un leggero miglioramento del tasso di disoccupazione sotto il 24%, per quanto resti una soglia drammatica. Tuttavia - prosegue De Nardis - altri indici indicano che lo scatto dovuto alla svalutazione interna potrebbe essersi esaurito. Nel 2014 il Paese è tornato in passivo con l’estero come evidenziato dal saldo delle partite correnti in rapporto al Pil (parametro che indica la posizione di un Paese con l’estero in relazione allo scambio di beni e servizi, ndr). È tornata a crescere anche la posizione finanziaria netta sull’estero (negativa per il controvalore del Pil, cioè al 100% del Pil, ndr) molto lontana dal -30% massimo consentito dai parametri europei sugli squilibri. Ne consegue che se oggi la Spagna volesse riportarsi a -30% dovrebbe effettuare un’ulteriore forte svalutazione interna. E a quel punto chissà dove salirebbe il tasso di disoccupazione e dove scenderebbero i consumi in quanto penalizzati da una nuova scure sui salari. Questi altri parametri un po’ più nascosti del classico e un po’ abusato debito/Pil (che quando è scoppiata la crisi in Spagna era sotto il 36% e quindi molto basso, ndr) indicano che la ripresa spagnola non è così sana come possa sembrare in prima battuta».

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