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Questo articolo è stato pubblicato il 17 dicembre 2014 alle ore 20:14.
L'ultima modifica è del 17 dicembre 2014 alle ore 23:28.

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NEW YORK - La Fed non abbandona la cautela nel preparare strette sui tassi d'interesse negli Stati Uniti. Il suo messaggio di fine anno, la nuova “guidance”, promette “pazienza” sulla base delle “valutazioni attuali” della situazione economica quando si tratta di “cominciare una normalizzazione della posizione di politica monetaria”. Una pazienza che, afferma, e' “in linea” con le sue precedenti indicazioni, che cioe' “probabilmente sara' corretto mantenere il target dei tassi interbancari tra lo 0 e lo 0,25% per un periodo considerevole di tempo dalla fine del programma di acquisti di asset avvenuta in ottobre”.

Il presidente Janet Yellen ha qualificato la nuova pazienza, nel corso della conferenza stampa successiva alla decisione sui tassi, affermando che “un avvio della normalizzazione è improbabile almeno nel corso dei prossimi due vertici della Fed”, vale a dire quantomeno fino a primavera, al vertice di fine aprile.

Il messaggio salomonico inviato ai mercati, insomma, e' stato tuttora da “colomba” della crescita da parte del vertice della Banca centrale, con sette voti a favore e tre contrari, due dei falchi anti-inflazione Richard Fischer e Charles Plosser. La Fed resta indirizzata verso un rialzo dei tassi - con quasi tutti gli esponenti del vertice Fomc a favore di una stretta nel 2015 - ma senza fretta. Una correzione di tono rispetto al recente dibattito interno incentrato invece su una rimozione tout court dell'espressione “periodo considerevole” prima di qualunque stretta. Nell'aggiornamento delle previsioni economiche e sui tassi, i governatori della Fed hanno messo la loro prudenza in cifre: pronosticano un'inflazione piu' debole e strette sui tassi piu' graduali, con 15 su 17 che vedono un rialzo del costo del denaro nel 2015 e due soltanto nel 2016. Le aspettative sono in media di tassi all'1,125% a fine anno prossimo e al 2,5% nel 2016, entrambi livelli inferiori alle precedenti stime.

Alta la guardia sui rischi
La Fed vede una solida ripresa americana, con schiarite progressive sull'occupazione, ma appare non fidarsi delle incognite domestiche e delle tensioni esplose soprattutto sul fronte internazionale, dal crollo dei prezzi del petrolio che ha fatto riapparire lo spettro della deflazione alla continua crisi europea e alla brusca frenata della Cina. Anche se nella sua diagnosi e' tranquillizzante: “Il Comitato vede i rischi per l'outlook economico e il mercato del lavoro come quasi equilibrati. Ci aspettiamo che l'inflazione salga gradualmente verso il 2% mentre il mercato del lavoro migliorera' ulteriormente e i transitori effetti del calo nei prezzi dell'energia svaniscono”. Yellen ha aggiunto che il calo dei prezzi petroliferi dovrebbe avere nell'insieme “un effetto netto positivo” , simili a uno “sgravio fiscale per le famiglie”, per un'economia statunitense dipendente dai consumi. Poi, pero', la Fed conserva i tradizionali caveat: molto dipendera' dalle future statistiche economiche - dall'inflazione all'occupazione - per giudicare quando sara' davvero il momento di intervenire.

L’effetto sulle Borse
La posizione cauta e articolata della Banca centrale ha incoraggiato i mercati. A Wall Street gli indici azionari si sono impennati subito dopo l'annuncio della decisione della Fed, anche se poi hanno ceduto parte dei guadagni. A Wall Street si era ormai fatto insistente un ritornello ottimista sulla politica monetaria: not so fast. Piano con i tassi. Il premio Nobel e decano degli economisti liberal Paul Krugman ha di recente dato alle stampe il proprio pronostico pubblico che il 2015 non vedra' in realta' alcun rialzo dei tassi d'interesse americani da parte della Banca centrale. La sua non e' una posizione isolata, limitata all'accademia o alle correnti progressiste. Mark Grant, managing director di Southwest Securities, e' una simile voce meno pubblica e ideologica ma in prima fila sulle piazze finanziarie. “La Fed sara' costretta a riesaminare qualunque nozione di aumento dei tassi davanti agli eventi mondiali”, scrive nella sua nota ai clienti che pronostica a sua svolta nessuna stretta l'anno prossimo e rendimenti obbligazionari americani in calo.

La disoccupazione nascosta
Il suo ragionamento considera molteplici fattori di tensione, dalle ripercussioni dei movimenti del petrolio ai numeri del mercato del lavoro americano, che considera esageratamente rosei perche' non tengono conto di una disoccupazione nascosta dalla fuoriuscita di troppi dalla forza lavoro. E' l'Europa, pero', uno dei nodi principali. Il pessimismo sui dilemmi dell'Eurozona e' forse estremo, ma riflette uno scetticismo diffuso. Il tanto invocato “bazooka” di Mario Draghi appare a Grant e ai critici come lui poco piu' di un'arma giocattolo. Non e' affatto convinto che la Germania gli consentira' di usare proiettili veri di Quantitative Easing. E, se anche fosse, il loro impatto potrebbe oggi non “uccidere” crisi e recessione. I tassi d'interesse europei sono gia' scesi sotto ogni ragionevole livello e non hanno piu' alcun cammino da percorrere al ribasso. Mentre ingenti stimoli sotto forma di aiuti alle banche hanno gia' dimostrato ben poca efficacia per l'economia reale del Vecchio continente.

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