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Questo articolo è stato pubblicato il 06 febbraio 2015 alle ore 22:07.
L'ultima modifica è del 06 febbraio 2015 alle ore 23:08.

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Il mercato del lavoro negli Usa va meglio del previsto. A gennaio sono stati creati 270mila nuovi posti di lavoro contro i 230mila attesi dagli analisti. Il tasso di disoccupazione è salito dal 5,6 al 5,7% ma questo si deve all’aumento della forza lavoro. Cioè è cresciuto il numero di persone in cerca di lavoro e questo è un altro fattore decisamente positivo per la prima economia mondiale. La reazione dei mercati al dato si è vista soprattutto nell’andamento della moneta unica che ha registrato una netta flessione (qui il grafico di giornata del cambio euro-dollaro), a quota 1,1322.

Per capire questo movimento di mercato occorre mettere in relazione i dati macroeconomici con le scommesse dei mercati sulle prossime mosse della Federal Reserve, da tempo impegnata un un percorso di normalizzazione della sua politica economica. Dopo aver iniettato enormi dosi di liquidità attraverso il Quantitative easing (acquisti di titoli di Stato) la Fed ha ridotto e infine azzerato gli questi stimoli monetari nel corso del 2014. Per quest’anno ci si attende invece il graduale rialzo dei tassi di interesse.

I tempi e sui modi in cui questa stretta avverrà dipendono molto dall’andamento dei dati macroeconomici come l’inflazione e l’occupazione. Migliore è lo stato di salute dell’economia minore è l’esigenza di stimoli monetari e quindi più probabile è il rialzo dei tassi di interesse. Ed è precisamente questa la scommessa che hanno fatto gli operatori alla pubblicazione dei dati sul mercato del lavoro Usa. I numeri si sono rivelati migliori delle attese e questo implica maggiori probabilità di un incremento del costo del denaro forse già a giugno di quest’anno. In questa prospettiva va letto oltre che la corsa del biglietto verde anche l’impennata dei tassi sui titoli di Stato Usa.

A un'ora dalla fine gli indici a Wall Street hanno virato in rosso. A fare cambiare rotta all'azionario Usa è stata la bocciatura della Grecia da parte di S&P’s. Prima della decisione dell'agenzia di rating, gli investitori stavano festeggiando il buon rapporto sull'occupazione americana di gennaio.

Le Borse europee hanno chiuso contrastate (qui l’andamento degli indici). I listini sono ancora una volta ostaggio della volatilità del prezzo del petrolio (qui l’andamento di Brent e Wti). Il rialzo dei prezzi del greggio sostiene l’indice dei titoli petroliferi (qui il grafico di giornata dell’indice Stoxx 600 Energy). Soffre invece il comparto viaggi (qui grafico dell’indice settoriale) che per contro ha tutto da perdere da un rincaro del petrolio visto il peso specifico dei carburanti alla voce costi delle compagnie aeree.

A Piazza Affari (-0,28% il finale del FTSE MIB) i rialzi si sono concentrati sul settore bancario con buone performance per i titoli Banca Mps, Banco Popolare e Bpm. Listino appesantito dai realizzi su Luxottica (-2,3%) e Telecom Italia (-2%) con quest'ultima che sconta anche le incertezze sulla partita brasiliana e su Metroweb. Giù anche Autogrill (-1,8%) e Fca (-1,3%). Saipem (+0,3%) si mantiene sopra la parità - ma nel corso della giornata aveva toccato i massimi da oltre un mese - grazie alla commessa da 1,8 miliardi di dollari in Kashagan.

Nel complesso i mercati devono fare i conti i conti con l’incertezza sulla crisi di Atene dopo che la Bce ha deciso di non accettare più come garanzia per i finanziamenti alle banche i titoli di Stato greci. Una mossa che di fatto mette Atene con le spalle al muro. Il sistema creditizio, alle prese con una fuga dei depositi (15 miliardi tra dicembre e gennaio secondo stime ufficiose), dovrà fare conto solo sul canale di finanziamento di emergenza (il cosiddetto Ela) che tuttavia richiede interessi maggiori dell’1,5 rispetto al tasso ufficiale Bce (0,05%) e inoltre può essere sospeso se così vota la maggioranza di due terzi del direttivo dell’Eurotower.

Tutto questo mentre sul fronte diplomatico non ci sono sviluppi positivi. Il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem ha negato la possibilità di concedere «prestiti ponte» ad Atene per darle tempo di rinegoziare con i creditori. Da parte sua il ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis ha detto che non accetterà alcun accordo che non preveda la cancellazione dell’attuale programma di salvataggio.

Oggi ancora vendite massicce alla Borsa di Atene (-2,56%) mentre i tassi dei titoli di Stato greci sono risaliti: il triennale oltre il 18% e il decennale oltre il 10 per cento. Il nervosismo dei mercati ha contagiato anche i nostri titoli di stato come dimostra il rialzo del differenziale di rendimento tra Italia e Germania (qui il grafico di giornata dello spread Bund-BTp).

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