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Questo articolo è stato pubblicato il 19 febbraio 2015 alle ore 06:56.
L'ultima modifica è del 19 febbraio 2015 alle ore 07:36.

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(Afp)(Afp)

Big Oil ha iniziato a perdere la fiducia dei guru degli investimenti. Il colpo più pesante l’ha subito ExxonMobil, che negli ultimi tre mesi del 2014 - mentre le quotazioni del petrolio andavano a picco - ha perso il suo azionista più celebre, fonte di ispirazione per milioni di trader di tutto il mondo: Warren Buffett. L’oracolo di Omaha, attraverso la Berkshire Hathaway, si è liberato di oltre 41 milioni di azioni della compagnia americana, una partecipazione da 3,7 miliardi di dollari che aveva acquisito soltanto nel 2013 e che all’epoca rappresentava la sua scommessa più grande dall’investimento in Ibm effettuato due anni prima. Quest’ultimo non solo è ancora in portafoglio, ma è stato ulteriormente aumentato. Durante lo scorso trimestre Buffett ha anche rilevato il 5% di Deere & Co, produttore di macchine agricole: segno che la sua sfiducia nelle materie prime non è totale. Ma oltre a Exxon ha scaricato pure ConocoPhillips e una parte delle azioni di National Oilwell Varco (impianti di trivellazione). Nel settore energy, che ormai pesa per appena l’1,4% del portafoglio, ha aumentato la posta in gioco solo per Phillips 66, attiva nella raffinazione Usa, e la canadese Suncor Energy.

Buffett non è il solo ad aver voltato le spalle alle grandi compagnie petrolifere, in un periodo di grave difficoltà per il settore. Nella seconda metà del 2014 il prezzo del barile è più che dimezzato, finendo intorno a 45 $, il minimo da sei anni, mentre in borsa i titoli del comparto hanno subito un ribasso medio di quasi il 20%.

Dalle comunicazioni alla Sec dei grandi fondi Usa è emerso che nel quarto trimestre 2014 anche un altro mago degli investimenti, George Soros, è uscito da Exxon, di cui aveva una quota modesta. In compenso la Soros Fund Management ha fatto acquisti opportunistico tra titoli che si erano fortemente svalutati: in portafoglio sono entrate Transocean e Devon Energy.

Una strategia di selezione ha guidato pure John Paulson. La sua società di hedge funds, la Paulson & Co, è uscita da Athalon Energy e ridotto la quota in Oasis Petroleum, ma è diventata il primo azionista di Whiting Petrolem, il maggior produttore di shale oil del North Dakota.

Tra i grandi fondi sembra comunque prevalere una tendenza alla fuga dal petrolio. La lista dei disinvestimenti è lunga. Il fondo attivista Jana Partners, ad esempio, ha abbandonato Apache, mentre la Greenlight Capital di David Einhorn ha liquidato Bp, Anadarko e National Oilwell Varco. Rainier Investment Management da parte sua è uscita da Halliburton, il big dei servizi petroliferi che sta acquistando Backer Hughes, e da Halcon Resources, una società ad alto rischio di default, mentre Omega Advisors ha ridotto di un terzo la partecipazione in SandRidge e ceduto quella in da Denbury Resources.

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