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Erasmus dà valore al curriculum

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2010 alle ore 10:11.

L'obiettivo del 20% di studenti all'estero per un'esperienza di studio o formazione – che i ministri europei si sono impegnati a raggiungere entro il 2020 – resta un traguardo lontano. Tuttavia, anche in Italia (pur con un tasso di incremento al ralentì, dimezzato rispetto alla fine degli anni 90), cresce il numero dei ragazzi che decidono di frequentare un periodo di studio o di lavoro oltreconfine.

Secondo i dati diffusi dall'agenzia nazionale Llp, Lifelong learning programme (il programma d'azione comunitaria nel campo dell'apprendimento permanente), nell'anno accademico 2008/09, 17.754 studenti italiani hanno usufruito di una borsa di studio Erasmus, mentre 1.660 giovani sono stati ospitati da aziende e da organizzazioni estere per un periodo di tirocinio.

Complessivamente, rispetto all'anno precedente, la mobilità italiana Erasmus è cresciuta del 5,7%, ma l'incremento riguarda soprattutto i programmi di placement, cioè quelli che garantiscono un'esperienza di lavoro fuori dalla propria nazione, che hanno fatto registrare un aumento del 107%, mentre i programmi di studio sono cresciuti appena dell'1,1% (meno dell'anno precedente). Nel corso del 2008/09, comunque, non ha brillato neppure la mobilità degli studenti europei. Più in generale, sulla base dei dati consolidati e rilevati nell'anno accademico 2007/08, emerge chiaro come l'adesione all'Erasmus sia meno diffusa nel Sud Italia e nelle Isole.

La graduale tendenza all'aumento della mobilità è confermata anche da AlmaLaurea. Secondo i dati più recenti, presentati a fine maggio, il 13,9% dei laureati del 2009 ha effettuato un'esperienza di studio all'estero (la percentuale sale a quasi il 18% tra i laureati specialistici). Il solo Erasmus ha coinvolto 8 laureati su 100: il 5,2% fra quelli triennali e il 14% degli specialistici. «Il numero di giovani che si sposta per un periodo di studio fuori Italia – commenta il professor Giancarlo Gasperoni di AlmaLaurea – è cresciuto in modo significativo rispetto ai primi anni di avvio della riforma. Tuttavia l'iniziativa rimane ancora limitata, in particolare fra i laureati di primo livello, proprio coloro che forse ne avrebbero più bisogno, per origine familiare, studi secondari, possibilità economiche. Anche perché, in un mercato del lavoro ormai europeo, aderire a un programma di mobilità rappresenta una chance occupazionale, oltre che formativa, importante».

In cima ai motivi che frenano le partenze per l'estero c'è la scarsa disponibilità di aiuti economici. Tra fondi europei e l'integrazione erogata dal Miur, la borsa di studio per l'Erasmus arriva a totalizzare circa 300 euro al mese. Alcune università, come l'ateneo di Bologna, aggiungono un proprio contributo mensile di circa 50 euro. Ma il contributo resta basso. E gli ostacoli non sono legati solo a motivi economici o pratici. Come spiega Carla Salvaterra, delegata del rettore per le relazioni internazionali dell'università di Bologna, «bisogna lavorare anche per la qualità della mobilità, mettendo in campo politiche per l'integrazione, nel curriculum dello studente, dei periodi svolti all'estero o aumentando il livello dei servizi e degli strumenti offerti ai giovani che scelgono di partire».

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I risultati, quando c'è l'impegno delle istituzioni universitarie, non sono impossibili da raggiungere. Secondo le statistiche aggiornate al 2007/08, Bologna è al quinto posto in Europa, sia per la mobilità incoming, seguita da Roma e da Padova (14esima), sia per quella outgoing, seguita da Firenze (10ima) e Roma (11esima). «L'obiettivo degli atenei – conclude Salvaterra – non deve comunque essere quello di dar vita a una competizione, ma al contrario di fare sempre più rete per promuovere la cultura della mobilità».