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L'inglese sale in cattedra

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2010 alle ore 10:08.

Sono giovani, ma crescono in fretta. L'esperienza dei corsi di laurea in lingua inglese è partita in Italia una decina d'anni fa, ma gli atenei stanno recuperando rapidamente il ritardo accumulato rispetto alle sedi estere. Così se nel 2007 i percorsi di studio nella lingua di Shakespeare erano appena 22 (secondo i dati della Conferenza dei rettori), due anni dopo (secondo i calcoli del dossier Università del Sole 24 Ore) si è arrivati a 53. E il prossimo anno accademico l'inglese sarà un must in 96 corsi di 24 sedi.

Pensati all'inizio per i master e in seguito per le facoltà di economia e ingegneria, oggi i percorsi di studio internazionali sono stati estesi a tutte le aree disciplinari e a tutti i livelli, anche se sono più diffusi nelle lauree magistrali. Un modo per rendere più attraente le facoltà italiane agli occhi degli studenti stranieri, ma anche un'opportunità in più per le matricole del nostro paese che puntano ad arricchire il curriculum.

I requisiti
I requisiti di partecipazione di solito vanno di pari passo con la filosofia dell'ateneo di riferimento. Alcuni corsi sono a numero programmato e prevedono dunque un test di ammissione. In altri casi l'accesso è libero. Per le matricole che si iscrivono alla triennale si richiede in genere un grado di conoscenza dell'inglese B1, secondo le classificazioni internazionali, pari a un livello intermedio.

Tra i primi a percorrere la strada degli insegnamenti tutti in inglese è stata la Bocconi di Milano, che nel 1999 ha lanciato il Diem (degree in international economics and management). Oggi con la riforma universitaria il corso è diventato una laurea triennale, il Biemf (bachelor degree in international economics, management and finance). «Non è semplicemente un corso in inglese, ma un percorso con una dimensione internazionale: il diritto e l'economia, ad esempio, si studiano in un'ottica comparativa tra i vari sistemi», spiega Elena Cantù, assistente del direttore del corso. Aule composte in genere per metà da studenti italiani che hanno già un bagaglio di esperienze oltreconfine, e per l'altra metà da "colleghi" europei, ma anche cinesi e australiani. Per essere ammessi bisogna superare il test di ingresso, come succede per gli altri corsi dell'ateneo. In più bisogna certificare il proprio grado di conoscenza della lingua inglese.

In altri atenei, come Siena, i percorsi di laurea specialistica in lingua inglese sono una novità recente. «Era una necessità che sentivamo da tempo – sottolinea Gianni Pozzi, presidente del corso magistrale in medical biotechnologies (biotecnologie mediche) della facoltà di medicina – ma solo nell'anno accademico 2009/2010 abbiamo avuto l'autorizzazione ministeriale. Nel nostro settore l'inglese è una lingua franca e diventa un fattore chiave per competere a livello mondiale». Lezioni, laboratori ed esami: tutto si svolge in inglese per preparare i ricercatori di domani. Complessivamente sono cinque i corsi in lingua inglese offerti dall'ateneo toscano, tutti del secondo ciclo.

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«La differenza rispetto al percorso tradizionale non è solo la lingua scelta come veicolo di insegnamento, ma gli obiettivi formativi specifici, rivolti a un'aula multiculturale», sottolinea la delegata alle relazioni internazionali dell'università di Bologna, Carla Salvaterra, che conta 14 corsi "british" (si veda l'articolo a fianco).

Doppio percorso
Full immersion in inglese, ma non solo. Accanto al percorso solo in inglese alcuni atenei hanno scelto la formula bilingue. È il caso della Liuc di Castellanza (Varese): qui esiste un orientamento interamente in lingua inglese, la laurea magistrale in international business management della facoltà di economia. Nel corso triennale in economia invece i primi due anni sono in italiano, mentre nel terzo si può optare per l'inglese, con docenti e colleghi studenti provenienti da altri paesi.