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Questo articolo è stato pubblicato il 08 marzo 2011 alle ore 10:05.

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Finita l'era in cui la Pubblica amministrazione era immune da responsabilità, inizia un periodo in cui occorre affinare i mezzi per ottenere il risarcimento e, possibilmente, un provvedimento favorevole. I protagonisti della procedura sono due: da un lato il cittadino (privato, imprenditore o società), e dall'altro l'amministrazione con i suoi funzionari.
Le regole del gioco sono stabilite dalla legge 241 del 1990, che ha reso possibile (anche grazie a una successiva modifica, introdotta con la legge 69 del 2009) l'equazione tra ritardo colpevole e risarcimento del danno.

DIRITTO AL RISARCIMENTO / I documenti delle istruzioni per l'uso

Occorre, quindi, che vi sia un momento iniziale a partire dal quale calcolare i termini a disposizione degli uffici per provvedere. In concreto, è necessario un numero di protocollo iniziale, o anche un invio a mezzo raccomandata o posta elettronica certificata (Pec).
L'istanza deve riportare tutti i dati necessari per provvedere, compresi quelli fiscali e deve essere corredata, se necessario, da allegati: ad esempio, nell'edilizia occorrono i titoli di proprietà, i disegni e i pareri di altre amministrazioni, mentre non è necessario fornire copia di documenti già in possesso della stessa amministrazione (in questo caso basta segnalarlo).

Un elemento che può risultare utile per le eventuali richieste di risarcimento è l'individuazione del responsabile del procedimento, cioè del funzionario cui fa capo l'esame della pratica. I tempi di decisione, siano essi di 30 giorni (articolo 2, legge 241 del 1990) o più diluiti (in base a regolamenti speciali), non devono essere dilatati senza motivo, poiché vige il divieto di aggravare il procedimento. Questo divieto impedisce, ad esempio, di richiedere documenti non utili (dalle marche da bollo ai certificati già in possesso della pubblica amministrazione).

Trascorso il tempo a disposizione della Pubblica amministrazione per portare a compimento un procedimento, il danno emerge subito, non essendovi franchigia e nemmeno sospensione feriale nel relativo calcolo. Occorre tuttavia quantificarlo, e a questo proposito si adotta come metro di valutazione il riferimento alle conseguenze del ritardo: gli articoli 1223 e 2697 del Codice civile esigono che il danno emergente (la perdita subita) e il lucro cessante (mancato guadagno) vengano provati.

Nel frattempo l'ufficio pubblico può procurarsi una serie di elementi attraverso i quali dimostrare l'impossibilità di provvedere nel termine di legge: la circolare Gaspari 4 dicembre 1990 n. 58245/7.464 elenca alcuni di questi (dalla complessità dell'istruttoria all'elevato numero di pratiche da esaminare), soprattutto al fine di evitare i rischi di sanzioni penali (articolo 328 del codice penale sull'omissione o rifiuto di atti d'ufficio).

La recente legge sul processo amministrativo (decreto legislativo 104/2010) ha delineato nuovi strumenti per ottenere il risarcimento, innanzitutto identificando il giudice competente (che è quello amministrativo), poi consentendo che si chieda con un unico atto processuale sia l'annullamento di un provvedimento sfavorevole (o di un silenzio) sia il risarcimento. Anzi, in alcuni casi si può chiedere il risarcimento anche se non si ha più interesse a ottenere il provvedimento favorevole, ad esempio perché ci si è iscritti ad altra facoltà universitaria, pur avendo contestato il risultato sfavorevole dei quiz di selezione.

Una delle ultime differenze che ancora si colgono nel giudicare i danni quando litigano due privati rispetto a quando è coinvolta una pubblica amministrazione è l'elemento della colpa. Per ottenere il risarcimento da un soggetto pubblico è necessario che l'amministrazione abbia agito (od omesso di agire) almeno con colpa grave. È, cioè, necessaria una sua grave negligenza, l'ignoranza di precedenti costanti (ad esempio, di giurisprudenza), di istruzioni (circolari) specifiche, l'aver generato corsie preferenziali per casi omogenei.

Ma già si intravedono novità, perché la Corte di giustizia europea (C-314/2009) ha imposto alle amministrazioni di pagare i danni in tutti i casi in cui un giudice annulli un provvedimento. Si profila così una duplice strategia: in Europa l'amministrazione che sbaglia paga, mentre in Italia è il danneggiato che deve provare la negligenza di chi lo ha maltrattato.

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