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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2012 alle ore 15:16.

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Una crepa che potrebbe rivelarsi una vera e propria valanga pronta ad abbattersi sull'intero pianeta della rassicurante e riservata finanza elvetica, che gestendo il 27% dell'offshore mondiale è da decenni lo snodo finanziario principe della ricchezza globale, indifferentemente dalle religioni, dalle etnie e dalle provenienze con le quali i tesori che vi affluiscono si distinguono.

È moneta corrente e sonante, questo è sufficiente. Ma tutto potrebbe cambiare, a partire da ora e per effetto della decisione presa dalla più antica delle banche private svizzere, la Clariden Leu Ag, che da giorni, ed in queste stesse ore, ha iniziato ad informare i propri clienti statunitensi, diverse migliaia, che nel caso di richieste specifiche, la titolarità dei loro conti e le rispettive movimentazioni saranno integralmente trasmessi, svelati e riportati alle autorità statunitensi che ne facciano richiesta avanzando l'ipotesi d'un coinvolgimento dei titolari nel reato di evasione fiscale. Insomma, è come dire, in maniera meno elegante, più aperta, che il segreto bancario non c'è più.

Goodbye riservatezza svizzera
La novità, in realtà, s'innesta su di un campo di discussione aperto da Berna con Washington fin dal 2008, e culminato nel 2009 con il "fuori i nomi" intimato al colosso delle banche svizzere, la Ubs, direttamente dalla Casa Bianca, anche se abilmente filtrato dall'Amministrazione finanziaria Usa e dal dipartimento della Giustizia. In particolare, è proprio il coinvolgimento della Giustizia, e del suo ufficio speciale che si occupa di perseguire su scala nazionale e oltreconfine i reati fiscal-finanziari di maggior rilievo, che ha condotto a questo ultimo passo. Infatti, la richiesta, con la specifica indicazione del reato di evasione fiscale nella sua compiuta veste di reato civile e penale, quindi anche con risvolto criminale, diretta da questo ufficio e rivolta a una banca determinerà, o dovrebbe condurre, all'immediato trasferimento di nomi e movimenti riguardanti i conti e i titoli del soggetto, cittadino statunitense, al centro della richiesta Usa. Di fatto, il segreto bancario rischia un completo pensionamento, anche se le formule utilizzate sono orientate a una semplice maggiore, necessaria, dovuta e ora persino corretta flessibilità nell'incrinarsi della riservatezza monolitica tradizionale del muro finanziario elvetico. Comunque, al di la delle parole, ciò che conta è che nomi, dati e somme movimentate dai clienti saranno trasmesse direttamente, su richiesta, alla Giustizia fiscale statunitense, senza se e senza ma, semplicemente allertando la banca i rispettivi clienti coinvolti al centro della vicenda.

Da dove s'è partiti, dalla decisione del Senato Usa nel 2008 – Come s'è giunti a questo risultato. Dopo tre anni di lunghi scontri, di assidui contatti e di accordi, parziali, sottoscritti tra Berna e Washington. L'inizio del filo anti-riservatezza trova però la sua origine nella Commissione finanze del Senato Usa che nel 2008 sentenzia «Ogni anno oltre 100 miliardi di dollari di tasse e imposte sono evase utilizzando conti offshore. Non è tollerabile. Dunque, da momento si dovrà operare per ricondurre queste risorse entro i parametri corretti della contribuzione fiscale dovuta…….».

Il Senato, riunito, diede il suo assenso e il nuovo venuto alla Casa Bianca, Obama, raccolse e fece subito suo l'invito del Senato, organo centrale nella gestione delle relazioni estere statunitensi, a tutti i livelli, anche fiscal-finanziario. Naturalmente, la richiesta Usa, a differenza di altri Paesi, risulta essere più forte, più diretta, in quanto l'evasione fiscale ha un duplice volto, civile e al contempo penale. Entrambi rilevanti e sanzionati. Il dietro le sbarre può giungere fino a massimo 5 anni, nella ordinarietà della sanzione, partendo da un minimo di 6 mesi. A ciò s'aggiunge la sanzione, di 250mila dollari per gli individui e il doppio per le imprese condannate. Naturalmente, queste sono le soglie base. E per finire, e senza sconti, le somme evase devono essere immediatamente, e integralmente, restituite, altrimenti scattano i passaggi di proprietà, allo Stato, di beni immobiliari, di lusso o altro che possono essere rimessi in vendita dalle competenti autorità. Probabilmente, questa congiunzione del crimine fiscale come sia civile sia penale potrebbe aver fornito agli Usa il cavallo di Troia da utilizzare per abbattere il totem del segreto bancario svizzero. E ora? Si dovrà attendere e verificare quanto la nuova procedura produrrà sull'intero pianeta della finanza svizzera che, naturalmente, già promette di aprire nuovi fronti di discussione.

E nel mezzo della querelle Usa-Svizzera, spuntano 500milioni di euro rientrati con lo scudo in Italia - Clariden Leu Ag non è certamente una minimal-bank, con conti ridotti e capitali esclusivamente gestiti nei loro corsi di transito. Insomma, non si tratta d'uno sportello qualunque. Secondo quanto emerge dall'osservazione del suo ultimo bilancio, ad oggi sono all'incirca 80 i miliardi di euro che vi risultano custoditi e, ma soltanto in parte, gestiti con occhi e menti, e competenze qualificate, oltreconfine. E tra questi, almeno fino al 2009, vi erano anche 500 milioni di euro made in Italy. Con il lancio dello scudo fiscale sono stati immediatamente attratti sulla via del ritorno, determinando di fatto una perdita secca negli stock dei capitali della Clariden che, peraltro in maniera ufficiale, nemmeno tanto velata, ricollega l'improvviso meno che si legge sui grafici che ne riportano l'andamento nel corso del 2009 alla performance dello scudo. Naturalmente, si tratta di transiti che non dovrebbero avere nessun legame con le richieste avanzate da Washington nei giorni passati.

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