Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2010 alle ore 08:54.
Mba sì o no? Per chi lo ha fatto 30 anni fa non c'è dubbio che sia stato il volano per una carriera brillante. Per chi esce adesso non sempre è scontato che sia così. I tempi sono cambiati anche per gli Mba. Sia per l'approccio a certe discipline, sia per le prospettive, sia per l'internazionalizzazione che in Italia è sempre più forte. Franco Fontana, direttore della Luiss business school, negli ultimi mesi si è sentito porre molte volte la domanda: «Ma come la insegnate adesso la finanza?».
Certo «i fondamentali valgono sempre e sono rimasti gli stessi, ma, nel post crisi, la modellistica e la problematica dei rischi è maggiormente enfatizzata», spiega. Andrea Tracogna, direttore dell'Mba full time del Mib di Trieste e vicedirettore della scuola, spiega addirittura che agli studenti arrivano anche proposte per «salari di ingresso intorno ai 2mila euro. Un buon inquadramento per un neolaureato ma certo non per un Mba che ha laurea, esperienza di lavoro e master alle spalle. Ecco perchè la maggior parte dei nostri allievi va all'estero».
Più Italia nei ranking internazionali Il nome Mba è «inflazionato in Italia e prende dentro corsi più o meno validi. La Sda si misura con i top europei», dice Valter Lazzari, direttore dell'Mba della Sda Bocconi, già nei ranking internazionali da diversi anni. Lo scorso era al 30esimo posto in quello del Ft, in calo dal 25esimo del 2009, mentre il Mip di Milano in questi anni ha portato avanti il processo di internazionalizzazione e oggi rientra tra gli Mba europei citati da Business week e dal Ft. «Abbiamo anche aumentato il numero di dual degree, costruendo rapporti forti con una business school cinese e con una americana per facilitare ai nostri allievi percorsi che permettano di lavorare negli Stati Uniti – spiega il direttore dell'Mba Stefano Ronchi –. Inoltre siamo entrati a fare parte di una grande alleanza europea con l'obiettivo di fare massa critica per attirare i grandi recruiter a livello internazionale». Luiss sta ancora completando il percorso per avere la certificazione Equis e per entrare nei ranking internazionali. Intanto però, osserva Fontana, «attorno al nostro Mba full time abbiamo costruito una famiglia di master. Come l'Emba, l'executive Mba, oppure l'Unamba, l'Mba in inglese, oppure Unimba e cioè l'International master in business administration, oltre ai corporate Mba che sono ritagliati su misura. Tutto questo è avvenuto su sollecitazione del mercato».
Grandi opportunità in passato In passato l'Mba è stato fonte di grandi opportunità. Francesco Silleni, amministratore delegato di Centrobanca, (gruppo Ubi), è un ex Mba dell'Insead. Racconta: «Avevo 27 anni, lavoravo da tre, in tasca una laurea in ingegneria chimica. Era il 1983». Niente più di un master in business administration avrebbe potuto offrire maggiore slancio a un giovane in cima al trampolino della carriera manageriale. Negli anni '80 ancora in Italia l'offerta era praticamente una, la Sda Bocconi, mentre all'estero il discrimine era tra l'Europa e gli Stati Uniti. Per Silleni Europa. E poi Francia e Inghilterra. Francia. E a quel punto non restava che l'Insead, la prestigiosa scuola francese che occupa il 17esimo posto nel ranking del Financial times executive education del 2010 dove è presente una sola italiana: la Sda Bocconi.
«È stata un'esperienza umana fantastica, ho vissuto un anno insieme a 140 persone con una motivazione davvero formidabile – ricorda –. Mi sono abituato a lavorare in gruppo, a reggere lo stress, così come richiedono tutte le situazioni che poi si verificano nel mondo del lavoro». E il bello era che non c'era nemmeno bisogno di finire la scuola per ritrovarsi con una rosa di offerte davvero importanti. «Le lettere di assunzione spesso arrivavano prima della fine dell'Mba – ricorda Silleni –. Appena uscito dall'Insead sono stato reclutato come assistente dell'amministratore delegato di una multinazionale della farmaceutica, una posizione di poco potere diretto ma di ampio respiro, come accade lavorando al fianco di una persona che vede tutte le decisioni chiave dell'azienda». E poi di lì è cominciata una scalata trasversale avvenuta attraverso vari passaggi nell'industria e successivamente nella finanza, fino ad approdare al private equity e a Centrobanca.
Supporto per le Pmi nell'internazionalizzazione Al netto delle abilità personali, gli anni '80 e i '90 però erano anni diversi. Gaetano Bonfissuto vicepresidente Aimba, l'associazione italiana che riunisce 10mila Mba, osserva: «Occupandomi anche di ricerca e selezione del personale, posso dire che prima della crisi finanziaria ed economica, un diplomato Mba aveva più possibilità di far fruttare il proprio titolo, con conseguente crescita di carriera e di remunerazione, prevalentemente nelle aree finanza e consulenza strategica in gruppi multinazionali». Adesso invece c'è «una buona richiesta di figure manageriali che abbiano maturato competenze ed esperienze gestionali ed aziendali complete, magari anche con qualche anno all'estero e con ruoli di responsabilità: per i diplomati Mba si aprono nuovi scenari a supporto delle Pmi e del loro sviluppo internazionale».
Cresce il recruiting nel manifatturiero Lazzari, dal suo osservatorio, dice che «negli ultimi due anni il recruiting dell'industria è rimasto pressochè invariato. Anzi è proprio il manifatturiero che ha dedicato maggiore attenzione alla selezione che oggi è qualitativamente sempre più alta. Alla fine quello che è mancato nel settore finanziario, da cui c'è stata una forte diminuzione delle offerte, è stato supplito da manifatturiero e consulenza».
Un anno difficile per gli Mba Allargando il focus al quadro internazionale però bisogna dire che gli ultimi 12 mesi sono stati problematici per le business school. Il numero dei partecipanti, secondo l'ultima inchiesta del Ft, è considerevolmente diminuito. Nel 2008, circa 140mila studenti hanno preso parte a un Mba full time in una delle 60 business school del ranking. Nel 2009 questo dato è calato del 17% rispetto all'anno precedente. Il livello di partecipazione più basso ha portato a una riduzione delle entrate. Delle 60 scuole del ranking, 36 hanno registrato entrate più basse dell'anno precedente. Due terzi di queste ha visto una riduzione di almeno il 15%. Questi dati sono in forte contrasto rispetto ai due anni precedenti, se è vero che l'85% delle scuole ha registrato un aumento delle entrate in passato. A soffrire di più sono state le scuole del Nord America, con una media dei partecipanti scesa del 21%.
Europa stazionaria La partecipazione in Europa si mantiene stazionaria e quanto all'Italia, dall'osservatorio della business school storica il cui Mba è presente nei ranking del Ft già da molti anni, ossia la Sda Bocconi, e dalle scuole che stanno lavorando per entrarci, e cioè Mip, Mib e Luiss, continua ad essere confermata una certa difficoltà a portare avanti l'interconnessione tra università e imprese. Non ultimo per una questione di remunerazione.
Alla ricerca dei serbi Se c'è una nazionalità che in questi ultimi mesi sembra essere particolarmente richiesta «è senza dubbio quella serba», osserva Tracogna. Dalla Serbia dove le imprese italiane stanno investendo per il costo della manodopera basso e perché rappresenta la porta d'ingresso al mercato russo, arrivano molti allievi degli Mba italiani, ma «sarebbe necessario che le imprese, anzichè interessarsi a valle a questi allievi, quando cioè sono già formati, manifestassero interesse con un sostegno finanziario, considerato che le fees di un Mba italiano sono molto alte per un serbo».
Le fees Al Mib di Trieste sono di 24mila euro, al Mip di Milano di 27.700 euro, alla Sda Bocconi di 39.500, alla Luiss di Roma di 18mila euro. Naturalmente ci sono molte borse di studio. Nel caso della scuola di Trieste sono una decina che, fatta eccezione per i casi in cui «un'azienda richieda una profilo specifico e allora sono pari al 100% delle fees, in genere sono al di sotto del 50% della quota – osserva Tracogna – perché noi crediamo che un giovane che abbia impiegato risorse sue sia più motivato». Al Mip, dice Ronchi, «ci sono borse aziendali che coprono tra il 50 e il 100% delle fees, oltre ad alcune borse messe a disposizione dalla scuola». Alla Bocconi lo scorso anno «le borse che prevedevano la copertura totale erano tre, a cui vanno affiancati una quindicina di esoneri parziali tra il 65 e il 90% delle fees», spiega Lazzari. Infine la Luiss dove le borse che coprono interamente le fees quest'anno sono 8.