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Economia Politica economica

Tre tappe per arrivare al fisco federale. Ecco il calendario del percorso di avvicinamento

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2010 alle ore 08:06.

Otto anni, quasi due legislature. La strada che porta al federalismo (guarda l'infografica con tutti i passaggi anno per anno) – tracciata dalla bozza di decreto legislativo definito dal governo – vedrà il traguardo solo all'inizio del 2019, quando andrà a regime il nuovo fisco di regioni, province e comuni. Prima bisognerà superare due fasi: quella preparatoria, che si chiuderà con la quantificazione dei costi standard; e quella sperimentale, in cui il nuovo meccanismo verrà gradualmente messo in rodaggio.

In pratica, si tratta di abbandonare definitivamente il modello storico dei finanziamenti a piè di lista. Addio, dunque, ai trasferimenti statali che coprono tutte le spese decise da sindaci e governatori. Sarà stabilito il costo "giusto" delle prestazioni essenziali – quali la sanità o la scuola – e in base a quel parametro sarà modulato l'intervento centrale. Quindi, se una regione spenderà più del dovuto (perché ha amministratori spreconi o vuole offrire più servizi), dovrà cavarsela da sola. Al contrario, le aree povere che non ricaveranno dai propri tributi le risorse sufficienti a finanziare i servizi di base, potranno contare sull'àncora di salvataggio del fondo perequativo.

Il sistema, una volta a regime, promette di innescare una selezione virtuosa delle classi dirigenti, perché renderà ancora più trasparente la governance a livello locale. E anche perché gli amministratori avranno la possibilità di manovrare la leva tributaria: per esempio, riducendo o eliminando l'Irap, oppure aumentando l'addizionale Irpef fino al 3% in più.

Nella fase di passaggio sarà decisiva la funzione della compartecipazione ai tributi nazionali. Oggi le regioni ricevono una grossa fetta dell'Iva (44,7%), ma questo importo viene suddiviso in modo tale da farlo funzionare come un "trasferimento mascherato".

A dimostrarlo ci sono i numeri riportati nelle tabelle, estrapolate dal "Cruscotto di indicatori socioeconomici", «uno strumento che conta 55 indicatori – spiega Federico Caner, capogruppo Lega Nord della Regione Veneto, che lo ha elaborato in collaborazione con Università Bocconi e Centro studi Sintesi – che verrà messo a disposizione, in via telematica, dei gruppi consiliari della Lega, presenti in nove regioni, per aiutarli nelle loro decisioni amministrative».

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Se si guarda il peso dei tributi propri sul totale delle entrate, si scopre che oggi la regione con il più elevato indice di autonomia territoriale è il Lazio, seguito da Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte. In queste zone, la maggiore ricchezza delle basi imponibili e le scelte di politica fiscale fanno sì che il prelievo locale copra almeno il 45% delle entrate complessive. In Basilicata, invece, l'incidenza dei tributi propri sul totale è appena superiore al 20 per cento. Se però si include anche la compartecipazione, la Basilicata raggiunge il Lazio. Detto diversamente, la regione lucana riceve 1.719 euro per ogni abitante, contro i 741 del Lazio e i 1.037 della Lombardia.

Tutte queste cifre saranno rimodulate, anche per effetto del diverso criterio che dal 2013 detterà la suddivisione del gettito Iva, tenendo conto del luogo in cui avviene il consumo. L'adeguamento, però, sarà graduale: dal 2014 dovrebbe entrare in funzione il fondo perequativo, ma per il primo anno le risorse saranno ancora assegnate a copertura dei costi storici, mentre per i quattro anni successivi si avvicineranno progressivamente al livello dei costi standard. Indicazioni, queste, che attendono conferme dall'incontro governo-regioni in calendario giovedì.

Dalla partita non sono esclusi i comuni, che anzi saranno i primi a testare l'effetto federalismo: lo schema di Dlgs varato prima delle ferie prevede per gennaio dell'anno prossimo il debutto della cedolare secca sugli affitti.

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