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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2011 alle ore 08:13.

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Gheddafi si riprende l'ovest (Ansa / C.Accogli)Gheddafi si riprende l'ovest (Ansa / C.Accogli)

Il leader libico Muammar Gheddafi, in un discorso al «popolo libico» sulla Tv di stato nella tarda serata di martedì e ritrasmesso da Al Jazira, ha attaccato i media stranieri accusandoli di avere propagato una«falsa immagine» del suo paese. Il Colonnello ha anche accusato l'occidente di mirare al petrolio libico e di voler tornare «ai tempi in cui l'Italia chiamava la Libia la spiaggia di Roma». (Ansa)

BENGASI - Sono trascorsi solo 18 giorni, eppure sembra passato un anno. Nella piazza centrale su cui si affacciano i fatiscenti edifici coloniali italiani, ora quartiere generale dell'opposizione, venerdì 25 febbraio diecimila persone, in preda all'euforia, celebravano l'inarrestabile avanzata della rivoluzione. Anche gli anziani più cauti erano convinti che la caduta di Muammar Gheddafi, al potere in Libia da 42 anni, fosse questione di giorni. I più ottimisti parlavano di ore e urlavano: «Tripoli stiamo arrivando». Tra due giorni la Cirenaica liberata festeggerà un mese dalla rivoluzione. Ma l'aria che tira nella capitale è ben altra.

I volti sono tesi, contratti. Nessuno crede, e comunque non prende nemmeno in considerazione, l'amnistia promessa dal regime a chi deporrà le armi. Le cose non sono andate come previsto, anzi. La controffensiva del raìs ha strappato agli insorti, tra venerdì e domenica, due importanti centri petroliferi: Ras Lanuf e Marsa Brega, anche se in quest'ultima città sono ripresi i combattimenti.

Zawiya, l'ultima roccaforte dei ribelli tra Tripoli e la Cirenaica, è ormai saldamente nelle mani del raìs. Da ieri i carri armati del regime sono entrati anche a Zuwarah, la città vicina al confine con la Tunisia dove ora la popolazione teme migliaia di arresti e sanguinose rappresaglie. Ora rischia di cadere anche Misurata, l'ultimo avamposto degli insorti tra Tripoli e il fronte orientale. Misurata, 300mila abitanti, è la terza città della Libia. Se dovessero strapparla ai ribelli, le milizie di Gheddafi potrebbero poi dirottare altre forze sul fronte orientale.

Per quanto rattristati dalla caduta di Zuwarah, i membri del Comitato nazionale, il governo de facto della Cirenaica, pur senza dirlo se lo aspettavano. L'imperativo, ora, è riconquistare Brega, un centro strategico per la capitale della Cirenaica. La città da cui si dirama il grande gasdotto che fornisce elettricità e gas a Bengasi era stata ripresa dalle milizie di Gheddafi sabato notte. Seguendo un copione giù visto negli scorsi giorni, l'anarchica armata dei rivoluzionari è poi confluita in massa per affrontare i loro nemici. Come nelle altre occasioni, negli scontri ravvicinati, dove l'aviazione e l'artiglieria pesante sono meno utili, sembrano aver riportato dei successi. Il porto della città sarebbe nelle loro mani. Ma il condizionale è d'obbligo: è davvero difficile comprendere quale sia la verità in una guerra in cui i due belligeranti combattono anche a colpi di propaganda. La tv di regime aveva infatti mostrato immagini dei miliziani di Gheddafi in centro città.

Qualcosa, tuttavia, sta cambiando. Da alcuni giorni le forze dell'esercito libico che avevano disertato, e che si erano mantenute finora in disparte, si sono unite alla rivolta prendendone in mano le redini. Il leader militare è ora il generale Abdel Fattah Younes, l'ex ministro degli Interni, passato dalla parte della rivoluzione a fine febbraio. Fino a pochi giorni fa era stato messo in disparte, considerato dai rivoluzionari un amico del nemico, con un passato macchiato di sangue e indegno della fiducia. In un'improvvisata conferenza stampa a Bengasi, domenica sera Younes ha spiegato il suo nuovo ruolo e ha promesso una dura resistenza sulla città di Ajdabya, 140mila abitanti. La città, 160 chilometri da Bengasi, che agli occhi dell'opposizione non si può e non si deve perdere. Ieri Ajdabya ha subito almeno quattro bombardamenti aerei, ma è protetta da un immane dispiegamento di uomini. Da esperto veterano, Younes non ha mancato di sottolineare gli errori commessi dalla giovane e anarchica armata dei rivoluzionari: «Si sono spinti troppo lontano e troppo in fretta. E non hanno protetto a sufficienza le aree che avevano conquistato», ha dichiarato.

Nel tentativo di uscire dall'isolamento politico, Gheddafi ha dato il via alla sua nuova battaglia diplomatica, invitando Russia, Cina e India a sostituirsi alle compagnie occidentali nello sfruttamento dei giacimenti petroliferi. «Grazie alla riconquista di centri estrattivi o di raffinerie di primaria importanza quali quelli di Zawiyah e Ras Lanuf i terminal sono tornati a essere sicuri», aveva annunciato la tv di stato nel weekend, esortando le compagnie straniere a riprendere le operazioni di carico e scarico.

Tutti hanno bisogno delle rendite petrolifere, sia i ribelli sia il regime. La produzione nazionale è crollata dagli 1,54 milioni di barili al giorno estratti prima della rivolta a soli 300mila. In questo contesto, immaginare una rapida ripresa dell'export è azzardato. La sensazione, anche a Bengasi, è che più la guerra si trascina più cresce il rischio che il conflitto si allarghi, coinvolgendo anche tribù e clan tenuti insieme dal raìs con un'astuta politica del divide et impera. Che i movimenti estremisti, finora esclusi dalla rivolta, trovino nel caos un terreno fertile per la loro jihad. Il monito lanciato ieri dal capo del Comitato per il dialogo in Libia, Bashir Ali Tammani, non è da sottovalutare: «Occorre fermare ora il bagno di sangue e impedire la guerra civile», ha detto.

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