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Questo articolo è stato pubblicato il 16 marzo 2011 alle ore 08:49.
dall'inviato Roberto Bongiorni
BENGASI - È il caos, anche mediatico. Se sul fronte è pressoché impossibile capire da che parte arrivino le bombe, chi spara e da dove, in città non si riesce più a comprendere a chi prestare fede. I giovani rivoluzionari girano per le strade di Bengasi disorientati. Sui loro volti l'espressione smarrita di chi non vuole credere. E comunque non sa a cosa credere, e a chi credere. Le voci si inseguono.
C'è chi sostiene che Brega, l'importante centro petrolifero perduto dagli insorti due giorni fa, sia nuovamente in mano loro. Chi dice, invece, che le forze di Gheddafi hanno conquistato anche Ajdabiya, 50 chilometri più a est. Nel raggio di poche centinaia di metri si passa dai cortei funebri che piangono i caduti sul fronte a una folla che nel primo pomeriggio esplode in urla di gioia quando dal grande megafono in mezzo alla piazza viene diffusa una notizia che ha dell'incredibile: due caccia in mano a ribelli avrebbero distrutto due navi militari del nemico. Notizia non confermata fino a tarda sera, quando, comunque, le voci di una vittoria da parte dei ribelli sono più insistenti.
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L'unica certezza è che ad Ajdabiya l'ultima roccaforte dell'opposizione prima di Bengasi, infuria la battaglia. È, forse, la battaglia decisiva, senz'altro la più violenta, finora. Lo si comprende già in mattinata. Dalle ambulanze che scaricano i feriti e ripartono immediatamente. Da qualche gruppo di civili – ancora pochi - che cominciano a prendere la via del confine, a 650 chilometri. Dai ragazzi della rivoluzione, che mentre ti danno un passaggio esibiscono con orgoglio pistole, granate, rudimentali bombe incendiarie dicendo. «Non abbiamo alternativa, se non quella di lottare fino alla morte».
Mentre la comunità internazionale prende tempo per valutare se imporre o meno un divieto di volo sui cieli libici, l'esercito di Gheddafi sta facendo il possibile per cercare di espugnare le città in mano agli insorti e mettere Bengasi sotto assedio. Con ogni mezzo. Ad Ajdabiya sono state bombardate diverse abitazioni. Il numero delle vittime e dei feriti è impossibile da verificare. Secondo testimonianze locali, sulla strada tra la cittadina e Bengasi ci sarebbero tre auto colpite dalle bombe, al cui interno non sono ancora stati estratti i cadaveri di alcune donne e bambini. In serata, mentre ci troviamo nella città di Derna, a due ore da Bengasi, ci chiama Said Fathi, l'instancabile dottore che fa spola ogni giorno tra il fronte orientale e la capitale della Cirenaica. In principio ha la voce tesa: «Mi trovavo ad Ajdabiya questo pomeriggio, stavo trasportando dei feriti a Bengasi, quando hanno aperto il fuoco contro la mia ambulanza, colpendola. In ospedale abbiamo curato ferite gravissime da esplosione, sembrano razzi. Stanno bombardando le case dei civili».
La macchina della propaganda lavora a pieno ritmo, su entrambi i fronti. Un sito degli insorti conferma che due cacciabombardieri Mig-23, guidati da piloti passati tra le file della rivoluzione e partiti dalla base aerea di Benina, vicino a Bengasi, hanno affondato due unità della marina pro-Gheddafi sulla costa orientale libica al largo di Adjabiya e distrutto anche diversi carri armati. Ma non arrivano mai immagini, né conferme ufficiali. La tv di stato libica parla di Ajdabiya «ripulita da terroristi legati al-Qaeda e dai mercenari» aggiungendo che sono in corso «sollevazioni popolari pro-Gheddafi a Tobruk, nell'est del paese». Altri insorti parlano di fiamme e spari nella roccaforte blindata di Gheddafi a Tripoli (anche questa notizia non ha riscontri).
A Derna, la città più conservatrice tra Tobruk e Bengasi, non ci sono disordini, né manifestazioni di questo tipo. La gente saluta i volontari che partono per il fronte. E piange i cadaveri di quelli tornati in una bara. In serata il cortile della moschea si rianima, la gente festeggia: gli insorti avrebbero riconquistato Ajdabiya e catturato molti miliziani di Gheddafi. Dalla loro gioia e dalle versioni quasi identiche ottenute da diverse fonti questa, sembra, la notizia più vicina alla verità. Forse.
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