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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 10:21.
L'ultima modifica è del 14 aprile 2011 alle ore 10:21.
di Stefano Folli
Una vittoria per Berlusconi, una sconfitta per le opposizioni, un'altra prova difficile per un Paese avvelenato. Forse si può riassumere così l'esito del voto a Montecitorio sul cosiddetto «processo breve» (o per meglio dire, prescrizione breve). L'ostruzionismo dell'opposizione ha reso più accidentato il cammino del centrodestra, ma alla fine non ha ottenuto alcunché. La legge è passata con tutti i suoi articoli ed emendamenti, più o meno nei tempi previsti. Chi ha una certa età, peraltro, ricorda che il vero ostruzionismo era un'altra cosa. Prima della riforma dei regolamenti le maratone parlamentari erano davvero estenuanti. Oggi l'ostruzionismo consiste più che altro in una testimonianza. O in un messaggio mediatico.
Nel caso del «processo breve» l'ostruzionismo si è però infranto contro un clamoroso paradosso. Nell'unico voto segreto della giornata, la maggioranza berlusconiana ha acchiappato sei voti in più del dovuto, toccando la soglia assoluta di 316 consensi.
Significa che ci sono stati sei franchi tiratori tra le file del centrosinistra o del centro o dei «futuristi». Secondo la «vulgata» doveva accadere il contrario: il segreto avrebbe dovuto portare alla superficie le linee di frattura nella maggioranza. Invece la coalizione di Governo si è dimostrata compatta una volta di più. Come dire che per Berlusconi è sempre 14 dicembre (il giorno di quattro mesi fa in cui furono sconfitte le mozioni di sfiducia e il Governo uscì dalla condizione di pre-crisi). Per gli oppositori invece il Parlamento è sempre un purgatorio, forse perché non basta mobilitare un po' di «popolo viola» in piazza Montecitorio per dare l'impressione che un'alternativa è alle porte.
In ogni caso il Governo Berlusconi si conferma un governo-calabrone. È noto che secondo i biologi e i fisici questo tozzo insetto non potrebbe volare. Viceversa il calabrone vola benissimo. Allo stesso modo, in base alla logica, l'esecutivo guidato da Berlusconi non potrebbe stare in piedi. Invece regge e addirittura si rafforza nei momenti topici. Come si spiega?
Tutto lascia pensare che il paradosso di ieri non riguardi affatto il merito della legge, che resta un pasticcio il cui principale scopo consiste nel salvare il premier dal processo Mills. Il fatto è che i sei deputati volati in soccorso al vincitore volevano semplicemente allontanare qualsiasi rischio di scioglimento delle Camere. E allo stesso tempo intendevano regolare qualche conto aperto nei gruppi d'opposizione.
Una caduta del governo sul «processo breve» avrebbe forse aperto il vaso di Pandora elettorale. E l'intervento di D'Alema, martedì, in cui si «auspicava» un gesto in tal senso da parte del capo dello Stato, deve aver messo in allarme qualcuno. Il passo successivo equivale a un preciso segnale: dimostrare che la maggioranza è in salute più dell'opposizione. Il passo ulteriore potrebbe essere, non sappiamo quando, lo svelamento dei misteriosi franchi tiratori e il loro passaggio tra i Responsabili. Vedremo.
Quanto alla sostanza della legge, è stato già detto tutto. Si tratta di una norma controversa e priva di reale giustificazione. Non anticipa affatto la riforma «epocale» della giustizia di cui si continua a parlare e che pochi giudicano possibile in questa legislatura. Produce più danni che vantaggi.
È in tutto e per tutto una norma «ad personam», cioè di interesse pressoché esclusivo del presidente del Consiglio. In altre parole, la legge costituisce un altro passaggio dell'eterno braccio di ferro tra Berlusconi e le procure. Un braccio di ferro che non è certo all'epilogo: vivremo ancora a lungo dentro questa atmosfera di sterile tensione.
L'argomento di Berlusconi è sempre lo stesso: ho bisogno di proteggermi dall'azione eversiva dei magistrati. Ma il controargomento è altrettanto noto: meglio una norma specificamente «personale» piuttosto che una prescrizione abbreviata che rischia di vanificare molti e importanti processi, di quelli che scuotono l'opinione pubblica. Si citano i casi dei processi per la strage di Viareggio, per i morti nel terremoto dell'Aquila, per gli abusi della clinica milanese Santa Rita. L'opposizione parla di gigantesco colpo di spugna. Il ministero della Giustizia replica con alcune cifre precise. Non sarebbe un'amnistia. Per il disastro di Viareggio la prescrizione, che oggi è fissata a 25 anni, con le nuove norme passerebbe a 23 anni e quattro mesi. Per L'Aquila si scende da 12 anni e sei mesi a 11 anni e otto mesi. E via dicendo.
Resta il fatto che la nuova regola appare un errore politico, quanto meno una dimostrazione di cinismo. La tenacia e l'abnegazione di cui il Parlamento ha dato prova in questo caso sarebbe degna di miglior causa.
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