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Questo articolo è stato pubblicato il 24 aprile 2011 alle ore 08:11.

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Da un lato c'è Granarolo, che temendo di restare esclusa dall'operazione Parmalat pretende di entrare subito nella cordata. Dall'altro c'è la Cassa Depositi e Prestiti, la cui priorità è soltanto quella di evitare che il gruppo di Collecchio finisca in mano ai francesi, non di certo la salvaguardia delle ambizioni di Granarolo.

In mezzo c'è Intesa Sanpaolo, azionista al 20% di Granarolo e al 2,4% di Parmalat, che (come avvenne con Alitalia-Air One) cerca di far quadrare il cerchio inseguendo due obiettivi complementari: la salvaguardia dell'italianità di aziende ritenute strategiche con «operazioni di sistema» che passino attraverso la fusione con aziende di cui è creditrice o azionista. La partita per preservare l'italianità della Parmalat è tutta qui: trovare la mediana tra interessi convergenti sul fine, ma non sul mezzo.

Ebbene, dopo giorni di trattative serrate con toni anche accesi, la svolta sembra vicinissima: martedì, subito dopo le vacanze pasquali, si terrà la riunione decisiva Cdp-banche per stendere il piano finale di azione e approvarlo entro venerdì. I dettagli finanziari e di governance saranno messi a punto nei prossimi giorni, ma un punto sembra già chiaro: l'operazione parte senza la presenza di Granarolo nella cordata anti-Lactalis. Banca Intesa, ovviamente, avrebbe preferito inserire subito il gruppo cooperativo nella cordata, ma la Cassa depositi e prestiti ha preferito concentrarsi sull'obiettivo anti-francese. Il suo progetto, sebbene ancora ignoto nei termini precisi, è chiaro nella filosofia: organizzare un'operazione con le banche (Intesa, Mediobanca, UniCredit e Bnl) per mantenere italiano il gruppo di Collecchio, senza però imbarcare sin da subito Granarolo. La Cassa intende promuovere una cordata che rilevi le azioni Parmalat dai francesi di Lactalis (che però non sembrano intenzionati a vendere) o che possa spingersi eventualmente fino a un'Opa, ma intende lasciare al futuro management di Parmalat il compito di scegliere con chi e quando aggregarsi. L'obiettivo della Cassa è di inserire un management attivo, che affianchi l'attuale amministratore delegato Enrico Bondi, non uno che passivamente dovrà accettare la fusione con Granarolo.

Ma quest'ultima fa la voce grossa. Dopo che per settimane sembrava essere il fulcro dell'operazione, improvvisamente Granarolo si è trovata fuori dalla prima fase dell'operazione. Per questo ha deciso di alzare la voce: in questi giorni ha fatto scalpore la notizia secondo cui il gruppo uscirebbe dalla partita se non fosse coinvolto sin da subito nell'operazione Parmalat. Granarolo punta infatti ad essere il soggetto aggregante e il perno industriale dell'operazione, ma non è interessato a entrare nella partita solo in una seconda fase. La sua posizione è per certi versi comprensibile: dato che Granarolo è detenuta all'80% dalla cooperativa Granlatte, non mira a farsi acquisire in un secondo tempo e a diventare una controllata del gruppo Parmalat sminuendo il peso delle cooperative. Vuole avere un ruolo da pivot, altrimenti uscirebbe dalla partita. Il problema è che la Cassa depositi e prestiti è di diverso avviso.
Intesa Sanpaolo è in mezzo a queste due posizioni. Da un lato sta cercando di ritagliarsi un ruolo di primo piano nella salvaguardia dell'interesse pubblico (cioè dell'italianità di Parmalat), come fece nel salvataggio dell'Alitalia. Dall'altro è anche evidente il suo interesse privato, dato che Intesa è azionista di Granarolo al 20%. È infatti indubbio che con l'aggregazione tra Parmalat e Granarolo (come accadde nell'operazione Alitalia-Airone), l'istituto guidato da Corrado Passera avrebbe numerosi vantaggi. Per questo, probabilmente, Passera continua a ribadire che l'operazione Parmalat abbia una connotazione industriale.

Il problema è che l'integrazione con Granarolo presenta alcune problematicità, che sarebbe meglio fossero risolte dal futuro management di Parmalat. Il primo problema è che Granlatte (azionista di Granarolo) non può cedere la società a Parmalat per finanziare con il ricavato (massimo 500 milioni) la sua partecipazione nella cordata: questo rende difficile percorrere la strada della partecipazione di Granarolo sin da subito nella cordata tricolore. Il secondo è di natura Antitrust, dato che Parmalat e Granarolo potrebbero avere posizioni dominanti nel mercato del latte fresco e a lunga conservazione: questo problema resterebbe però valido anche se la fusione con Granarolo avvenisse in una seconda fase.

È certo che subito dopo Pasqua, già tra martedì e giovedì, dovrebbe arrivare alla svolta decisiva. Altrimenti il rischio è che diventi troppo tardi. Ma di incognite ce ne sono tante. Oltre a quelle già descritte, ancora non si capiscono le intenzioni dei francesi di Lactalis, che comprando in Borsa il 29% della Parmalat hanno fatto partire l'intera battaglia sull'italianità di Collecchio. I francesi sono disorientati dalla determinazione italiana e sono in stand-by. Aspettano l'evolversi della situazione e poi decideranno a quale prezzo uscire dalla Parmalat o se dichiarare una guerra al Governo italiano dagli esiti incerti.

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