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Questo articolo è stato pubblicato il 27 aprile 2011 alle ore 06:38.

Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa SanpaoloCorrado Passera, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo

Si tratta di una società quotata. Ripeto: non facciamo altri commenti. La vicenda ora passa nelle mani del board della Parmalat.

Il possibile coinvolgimento della Cassa Depositi e Prestiti, attraverso il fondo "sovrano" di nuova costituzione, rappresentava una qualche forma di moral hazard per il risparmio postale?
Passera. Non mi sembra. Fondi di questo tipo esistono anche in altri Paesi. In ogni caso si tratta di possibili ammontari molto limitati rispetto al totale del risparmio postale. E stiamo parlando di una partecipazione puramente finanziaria, senza coinvolgimenti nella gestionem, in aziende valide e di valore strategico.

Preoccupato che un'altra grande azienda italiana rischi di non avere più la "testa" nel nostro Paese? I timori sono estendibili alla Fiat se trasferisse, come ogni tanto si vocifera sul mercato, la sede legale negli Usa? Cosa accadrebbe se Intesa Sanpaolo trasferisse la sua sede all'estero, magari in cambio di benefici fiscali?
Passera. Noi siamo sempre stati convinti che un Paese che ospita tante aziende con la testa e il centro direzionale in loco, è un Paese più forte. Noi ovviamente non abbiamo alcuna intenzione di spostare la sede all'estero. Ma accetto la provocazione e rispondo che sarebbe un danno per il Paese. E, forse, uno strumento come la moratoria sui debiti delle imprese e sui mutui dei clienti nel momento più difficile della crisi non sarebbe stato messo a punto. Detto questo, vorrei chiarire che in Italia operiamo in un sistema che è tra i più concorrenziali d'Europa. Esistono grandi banche, istituti medi e piccoli. E una forte presenza di gruppi esteri, certamente più che in altri Paesi d'Europa.

Su Parmalat vedremo come andrà a finire. Ma l'impressione è che Intesa Sanpaolo abbia fin troppo capitale impegnato in partecipazioni industriali. Per esempio, nello stesso settore siete anche azionisti di Granarolo. Con che logica vi muovete?
Miccichè. L'investimento in partecipazioni di minoranza in imprese, con ottica di medio periodo, è una delle nostre attività e riguarda meno dello 0,5% dei nostri attivi. Abbiamo una struttura di merchant banking che negli ultimi 8-9 anni, ha realizzato più di cento investimenti. Quando verifichiamo la serietà di un progetto e la possibilità di contribuire alla crescita di un'azienda, investiamo e i risultati passati ci hanno dato ragione con ritorni economici più che soddisfacenti. Spesso i giornali si soffermano solo sui nomi più noti, come Alitalia, Telecom. Ma noi abbiamo tante operazioni in atto, quasi sempre nate con approccio bottom-up dai nostri uffici molto qualificati. Cito esempi di medie imprese come Giochi Preziosi, Guala, Sigma Tau, Esaote, oltre ad altre come Prada e Novamont, diverse per dimensioni ma delle sicure eccellenze imprenditoriali. Granarolo? Abbiamo contribuito a salvare la Yomo, che aveva problemi finanziari, e creato un gruppo unico con Granarolo, che così ha accresciuto le dimensioni e ora è una delle società più importanti del settore.

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