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Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2011 alle ore 07:57.

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(AFP)(AFP)

Sarà anche una maggioranza «di carta», come dice Antonio Di Pietro, però si tratta di una carta assai resistente. Ieri alla Camera il centrodestra ha raccolto 317 voti sul decreto sviluppo. In merito all'approvazione della «fiducia» non c'erano dubbi, tuttavia il punteggio raggiunto è alto. Ad esso corrisponde il risultato deludente delle opposizioni, rimaste nel loro complesso al di sotto della somma potenziale: nove voti di meno, frutto delle assenze.

È singolare questa disparità. La maggioranza Berlusconi-Bossi, nonostante le difficoltà che conosciamo, dimostra una notevole compattezza, di cui si è compiaciuto il neosegretario del Pdl Alfano. Al contrario le opposizioni non sembrano rendersi conto di un punto cruciale: è soprattutto nelle battaglie parlamentari, prima che nelle piazze, che occorre essere credibili. Anche quando, in base ai numeri, la sconfitta è certa.

Sta di fatto che Berlusconi non ha perso l'occasione di agitare questo argomento nell'informativa del pomeriggio al Senato: opposizioni divise, incapaci di darsi una coerenza e una linea politica. Lo aveva già detto Bossi a Pontida e il presidente del Consiglio si è affrettato a ribadire il punto di vista. Dimostrare che non ci sono alternative all'attuale maggioranza, salvo il caos e la speculazione internazionale, aiuta a cementare il sostegno al governo. Al di là della freddezza della Lega e del suo desiderio malcelato di mettere fine prima o poi all'era berlusconiana.

Sotto questo aspetto Berlusconi ha vissuto una giornata positiva. Se l'obiettivo è andare avanti oltre l'estate, resistendo ai colpi dell'avversa fortuna, non c'è dubbio che il premier possa dirsi soddisfatto. Le richieste della Lega, dai ministeri al Nord alla fine dell'intervento in Libia, si sono rivelate ben poco distruttive. Certo, «nulla è scontato», come dice Bossi. Ma l'ultimo che vuole creare veri problemi a Berlusconi è proprio il suo vecchio alleato. Poi è inevitabile che intervenga qualche giochetto procedurale figlio di «furbizie», come stigmatizza il presidente della Camera a proposito degli ordini del giorno contro il trasferimento dei ministeri: presentati dall'opposizione, ma accolti dal governo al fine di annacquarli.

Vedremo oggi a Montecitorio. Ieri l'impressione era di un governo poco vitale, forse addirittura imbalsamato, eppure in grado di reggersi sulle sue gambe. I voti continuano a esserci, l'impalcatura della maggioranza regge. Il discorso di Berlusconi è apparso piuttosto di maniera, la copia di quello pronunciato a metà dicembre. E tuttavia era del tutto funzionale all'obiettivo di durare, scavalcando l'estate grazie alla generale assenza di alternative.

Quanto alle riforme, al piano per il Sud, alle tre aliquote fiscali, alla revisione istituzionale, sono temi affastellati - e non certo per la prima volta - alquanto alla rinfusa. I famosi cinque punti del programma sono sulla griglia da tempo immemorabile. Stavolta la novità è che non si parla di giustizia, s'introduce il nodo della riforma tributaria, facendo attenzione a non urtare Tremonti (peraltro assente), e si accetta l'agenda del rigore europeista.

La reale praticabilità delle riforme ancora una volta annunciate non interessa più di tanto Berlusconi. L'importante è aver saldato il cerchio della maggioranza, controllato gli umori del Carroccio e verificato la tenuta dei Responsabili. Poi, ogni giorno ha la sua pena. Ma il traguardo del 2013 è lontano, ancora troppo lontano.

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