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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2012 alle ore 14:32.

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Stasera a Kiev, per i quarti di finale di Euro 2012, tra Italia e Inghilterra si annuncia un match equilibrato. Molto meno equilibrio c'è invece tra serie A e Premier league in fatto di rendimenti economici. Tra i due campionati, infatti, nel corso degli ultimi 15 anni si è andato allargando un divario inesorabile. Se nel 1997 il valore commerciale della massima serie d'Oltremanica era di 685 milioni di euro e quello della Serie A di 551 milioni, con uno scarto di appena il 20%, oggi questo gap è praticamente raddoppiato. Il fatturato della Premier al termine della stagione 2011/2012 ha superato quota 2,5 miliardi mentre il campionato italiano è fermo a quota 1,6 miliardi (con uno "spread" del 37%).

Il differenziale tra i due tornei, tra alti e bassi, ha iniziato a crescere, in realtà, fin dagli anni Duemila. In particolare, fra il 2001 e il 2002, si è passati da un gap del 22% a uno del 42%, con la Premier che incassava già 1,7 miliardi e una serie A inchiodata a un miliardo di ricavi. Il dislivello più accentuato, pari al 53%, è stato raggiunto nella stagione 2006/2007 quando gli inglesi hanno realizzato un giro d'affari di 2,2 miliardi e i club tricolori dovevano accontentarsi di entrate sempre di poco superiori al miliardo.
Merito, o colpa, in base ai punti di vista, dei diritti televisivi ma, soprattutto, del botteghino. Negli ultimi cinque anni (dalla stagione 2006/07 a quella 2010/11), la Premier ha incassato attraverso la vendita dei diritti tv 5,8 miliardi a fronte di contratti che hanno garantito alla serie A 4,2 miliardi. Nello stesso periodo, dal settore commerciale, sponsor e merchandising, se la Premier ha recuperato 2,8 miliardi, la A non è andata oltre 1,8 miliardi.

Più soddisfazioni, le società inglesi le hanno però avute dal botteghino: grazie alla biglietteria hanno ottenuto incassi per 3,5 miliardi (quelle italiane meno di un miliardo). In termini complessivi le entrate della Premier nell'ultimo quinquennio hanno oltrepassato la soglia dei 12 miliardi di euro, quelle della serie A hanno solo sfiorato i 7 miliardi.
Dopo gli anni bui degli hooligans e dell'esclusione dalle coppe europee nella seconda metà degli anni Ottanta, i club e il governo inglesi sono stati capaci di ricostruire, a partire dagli stadi, un modello di business legato al calcio e all'entertainment di grande successo. Un modello capace di attrarre investimenti dall'estero e di essere "esportato" in tutto il mondo.

Ma soprattutto capace, a differenza del sistema italiano, di generare utili. Sommando gli esiti delle gestioni dei team impegnati nelle due competizioni – fra l'annata 2000/2001 e l'annata 2010/2011 – la Premier league ha prodotto, in effetti, utili per circa 1,7 miliardi di euro. Negli stessi dieci anni, la serie A ha perso terreno e competitività accumulando un deficit di 1,9 miliardi.
La distanza fra Italia e Inghilterra, del resto, è destinata a non colmarsi presto. Dalla stagione 2013-2014 la Premier League incasserà per i diritti tv venduti in Gran Bretagna un miliardo di sterline all'anno (per il triennio fanno circa tre miliardi e mezzo di euro), con un incremento del 70% rispetto al contratto attuale che scade alla fine del prossimo torneo (e che valeva sull'intero triennio 1 miliardo e 800 milioni di sterline).

Mediamente ciascuna delle 20 squadre del campionato inglese riceverà più di 60 milioni di sterline all'anno. Ad aggiudicarsi i diritti tv della Premier, battendo molti concorrenti tra cui Al Jazeera, è stata BSkyB, la televisione privata di Rupert Murdoch (una piccola parte di gare sarà trasmessa da British Telecom). A queste somme dovranno essere aggiunti i diritti tv "internazionali", che già oggi valgono oltre il 30% di quelli interni, e sui quali si tratterà nelle prossime settimane.
Il numero totale dei match di Premier trasmessi salirà da 138 a 154 per un controvalore di 7,5 milioni a partita. A differenza dell'Italia dove vengono trasmesse dalle pay-tv tutte le gare (380), in Premier si è scelto di contenere il numero delle partite mandate in diretta. Questa scelta permette di avere stadi quasi sempre con il tutto esaurito. La media di presenze negli impianti della Premier è di 35mila spettatori, contro i 23mila della serie A (15 anni fa, l'Italia aveva 31mila spettatori di media contro i 29mila inglesi).

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