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Questo articolo è stato pubblicato il 14 novembre 2012 alle ore 06:39.
È davvero sorprendente come il felice esito del dibattito su Sky fra i cinque candidati del Pd abbia smosso le acque stagnanti della politica. Segno che c'era un disperato bisogno di un fatto nuovo, di una minima luce per uscire dalla palude. Nella sostanza, e qui c'è un paradosso, è accaduto poco o nulla: un semplice confronto televisivo, ben organizzato e ritmato, come se ne fanno tanti nel mondo occidentale. Ma per i nostri standard è sembrata una rivoluzione: cinque politici che parlano in modo civile e rispondono a domande precise senza insultarsi e senza divagare.
Ora si può immaginare che nulla sarà più come prima. Lo dimostra lo stupore di un'esponente del centrodestra, Alessandra Mussolini, che è apparsa rapita ed entusiasta per la prova offerta in tv da quelli che dovrebbero essere i suoi avversari.
Come lei ce ne sono altri, confermando che a destra ci si è accorti che si è aperto un fossato fra i due schieramenti. All'improvviso il centrosinistra si è proiettato in avanti con modalità comunicative rinnovate. E nello stesso momento il centrodestra è sembrato in ritardo di un paio d'anni luce, ancora prigioniero del suo passato berlusconiano, incapace di inaugurare un'altra pagina della sua storia senza lacerarsi e annichilirsi.
Se anche il centrodestra vuole le primarie, secondo l'ostinata volontà di Alfano, ora sa che non potrà organizzarle in modo meno efficace della controparte. Il che naturalmente non è affatto facile. Si prevede che domenica 25 novembre i seggi del Pd saranno in grado di accogliere una notevole affluenza alle urne. I sondaggi parlano di tre, forse tre milioni e mezzo di votanti. In questi termini sarà una notevole dimostrazione di forza, così come il dibattito a Sky è servito a indicare una certa vitalità politica.
È chiaro che la destra rischia un mezzo fallimento: non ha la capacità organizzativa del Pd; non è abituata al confronto delle idee; non ha un suo Renzi, ma nemmeno un Tabacci, personaggi in grado di alimentare il dibattito e di farsi ascoltare da un pubblico vasto. Alfano, che vuole le primarie per legittimarsi in chiave post-berlusconiana, ha ragione ad essere preoccupato, perché il confronto mediatico fra i due eventi sarà inevitabile.
Tuttavia tornare indietro non è consigliabile. A questo punto sarebbe il collasso finale del partito, o meglio di quell'area che un tempo era egemonizzata dal berlusconismo e oggi è alla deriva. La verità è che le primarie sono criticabili, forse anche stucchevoli visto che non sarà scelto alcun candidato alla presidenza del Consiglio (la legge elettorale riformata non consentirà di fatto l'elezione diretta, peraltro non prevista dalla Costituzione), eppure sono l'unico strumento attraverso il quale la politica mostra una timida volontà di rinnovarsi.
Dunque Alfano non ha altra scelta se non andare avanti. Senza preoccuparsi se l'affluenza alle urne del centrodestra sarà inferiore a quella registrata a sinistra. Dovrà invece badare a rendere il confronto delle idee realistico e se possibile più dinamico di quello degli avversari. E c'è da augurarsi che scendano in campo candidati autentici, compreso - perché no? - quel Samorì che si presenta come la "voce" di Berlusconi. Nella coscienza che il giorno in cui anche la destra manderà in scena un dibattito come quello che abbiamo visto l'altra sera, la democrazia avrà fatto un passo avanti.
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