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Questo articolo è stato pubblicato il 27 novembre 2012 alle ore 07:54.

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«Guardo con fiducia al ballottaggio di domenica. Non solo le ho volute queste primarie, non solo ho fatto cambiare la regola dello statuto per permettere ad altri candidati del Pd di partecipare, ma ho anche voluto il ballottaggio perché mi sembra giusto che il possibile futuro presidente del consiglio sia legittimato da più del 50% dei voti. Potevamo fermarci al primo turno e non l'abbiamo fatto».

Pier Luigi Bersani rivendica in diretta su Rai3 da Fabio Fazio la generosità con la quale ha messo in gioco il suo destino politico. Dietro le quinte ha appena incontrato Matteo Renzi, intervistato poco prima di lui in una sorta di confronto a distanza, scambiando con il suo competitor una stretta di mano e un abbraccio. Ed è all'insegna del fair play che il segretario del Pd si affaccia all'ultima decisiva settimana di campagna elettorale. Puntando sull'immagine rassicurante dell'«usato sicuro», come scherza lui stesso. «Non mi piace moltissimo che Renzi dica "io sono l'innovatore, questo qua è l'usato sicuro". Sicuro è una parola che mi piace molto, anche usato non lo butto via, purché si riconosca che in quell'usato ci sono state più riforme vere di quanto non si chiacchieri. Dove sono stato ho sempre cambiato. Si può cambiare con i fatti prima dirlo con le parole». L'atteggiamento nei confronti di Renzi è quasi paterno. L'immagine che Bersani vuole dare è quella di affidabilità, credibilità, sicurezza. L'unico che può tenere insieme tutto e mettere d'accordo tutti. Un Bersani ecumenico, insomma. «E se vince Renzi»?, incalza Fazio. «Io che faccio», aggiunge Bersani interrompendo il conduttore. «Continuerò a fare il segretario del mio partito fino al congresso, poi la ruota gira».

Non ci sarà da parte di Bersani alcuna volontà di scontro, piuttosto la cura di presentarsi già come vincitore, in veste presidenziale, parlando di temi concreti. Qualche preoccupazione in realtà c'è. Si confida nei voti di Nichi Vendola, un pacchetto di quasi 500mila preferenze. Ma c'è anche consapevolezza che il peso politico del leader di Sel rischia di diventare troppo forte. Vendola ha già stilato l'elenco delle richieste per l'appoggio al ballottaggio: aprire un negoziato con l'Unione Europea per impedire che «le politiche neoliberiste strangolino le economie di interi popoli»; conciliare il problema del debito pubblico con le necessarie iniziative per lo sviluppo; difendere le classi sociali più deboli; dire basta alla «precarietà eterna»; avviare iniziative per la giustizia sociale che rappresentino una «boccata di ossigeno per l'intera società». Bersani precisa che con il governatore della Puglia «non si aprono tavoli né si fanno bilancini o Cencelli», con un riferimento indiretto alle indiscrezioni giornalistiche su una presunta promessa a Vendola di una poltrona di commissario Ue. E forse non a caso in tv da Fazio chiude ancora una volta la porta ad Antonio

Di Pietro dopo aver fatto capire nel week end che forse quella porta avrebbe potuto riaprirsi: «Stavolta non devono esserci equivoci, ho visto dal Governo Monti in poi Idv fare un'altra scelta». Il rischio di una riedizione della foto di Vasto va scongiurato. Bersani punta tutto sull'affidabilità della sua futura coalizione di governo. E intanto manda due messaggi a Monti: il Governo «faccia chiarezza sull'Ilva», e basta «schiaffi alla scuola».

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