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Questo articolo è stato pubblicato il 02 dicembre 2012 alle ore 14:33.

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Il bivio del Partito DemocraticoIl bivio del Partito Democratico

Più di quello che accadrà oggi ai seggi, in fondo abbastanza prevedibile, è interessante quello che accadrà da domani nel Partito Democratico. Le primarie sono state un notevole spettacolo politico, se paragonato ai modesti standard della nostra quotidianità, ma si esauriscono in un secondo turno che non dovrebbe offrire sorprese clamorose. Forse vedremo la ressa davanti alle urne di qualche decina di migliaia di elettori che corrono in soccorso all'uomo del giorno e comunque segnalano con il loro attivismo, magari strumentale, il grande successo dell'iniziativa. Ci saranno incidenti, spintoni, recriminazioni?

Non lo si può escludere, perché la tensione è stata alta. Ma gli stessi duellanti ieri sera si sono sforzati di riportare un po' di serenità e hanno fatto bene.

Per il futuro il meno che ci si possa augurare è che il regolamento delle primarie sia messo nero su bianco in modo chiaro, definito per tempo e accettato in via ufficiale da tutti i contendenti. Il pasticcio a cui abbiamo assistito si giustifica solo perché si tratta della prima volta in cui si gioca sul serio, con una posta in gioco concreta e non solo formale. Ma i pasticci si prestano sempre all'abuso degli apparati e al vittimismo degli sfidanti. Soprattutto quando, come in questo caso, l'intera partita mediatica si svolge intorno allo sforzo emblematico di abbattere proprio il potere dell'apparato, visto come il continuatore dell'assetto post-comunista nel Pd.

In ogni caso, ora sappiamo tutto di Renzi, l'uomo nuovo della politica post-berlusconiana. L'argomento più solido da lui portato nel confronto è se stesso: è la sua immagine di giovanotto spregiudicato e scanzonato che sembra nato davanti a una telecamera della televisione e che non parla nell'oscuro linguaggio dei politici. Il sindaco ha fatto la sua parte, anche in modo egregio, e ha dimostrato che è lui, assai più dell'onesto Bersani, quello capace di portare a votare gente che arriva dall'indifferenza o anche dalla destra, persone deluse dal ventennio berlusconiano e magari tentate di tuffarsi nell'anti-politica grillina. È strano o meritevole di riprovazione tutto questo? Al contrario, entro certi limiti è l'essenza della democrazia. Il problema è cosa si offre a questi nuovi elettori che irrompono nel recinto un po' inerte del vecchio centrosinistra messo sottosopra.

Renzi propone una sinistra liberale, alla Tony Blair, che sembra al di fuori della natura del Pd, almeno per come lo vediamo oggi. Si dirà che anche Blair ha cambiato i connotati del vecchio Labour: sì, ma ci ha impiegato alcuni anni. Renzi si troverebbe a essere, in teoria, il candidato premier di un partito che rimarrebbe in mano per ora alla vecchia guardia, con le elezioni alle porte. Scenario molto complicato, ma anche improbabile. Dieci punti di vantaggio per Bersani dopo il primo turno sono molti: occorrerebbe prevedere l'imprevedibile per immaginare il sorpasso del sindaco sul filo del traguardo. Ciò detto, è chiaro che Renzi esce come un trionfatore da queste settimane in cui il bandolo della matassa è stato tenuto dal Pd e persino Grillo, per la prima volta, è messo sulla difensiva: tant'è che ha dovuto inventarsi le primarie via telematica.

Si diceva all'inizio che le cose interessanti le vedremo da domani. E la domanda è una sola: che uso farà Renzi, arrivando secondo, della sua percentuale elettorale (forse intorno al 45 per cento) e del suo patrimonio politico? Per adesso ha promesso di non contestare la legittimità della vittoria bersaniana: vittoria numerica, perché egli, il sindaco, sa di essere depositario di una vittoria sostanziale. E dunque, cosa farà? Ha escluso di voler provocare una scissione, ha negato di voler ascoltare le sirene che gli chiedono di candidarsi da solo o addirittura di mettersi alla testa del centrodestra allo sbando. La sua prudenza è lodevole. Se uscisse dal Pd per passare dall'altra parte perderebbe gran parte del suo credito. Che è legato proprio al fatto di appartenere, sia pure su posizioni fino a ieri eterodosse, al Pd. Come transfuga, Renzi avrebbe un valore anche elettorale molto minore. L'interessato sembra rendersene conto, anche se a tratti insiste nel dire che la sua visione è opposta a quella di Bersani. Il che renderà certo più difficile, benché non impossibile, quella convivenza, anzi quella cogestione del partito, che il segretario sembra avere in mente. E che sarebbe il fattore essenziale per assicurare il rinnovamento del Pd e del centrosinistra.

Esiste una terza via? Al momento è difficile dirlo, ma c'è da augurarsi che il sindaco non si limiti a ritirarsi sulle rive dell'Arno in attesa che Bersani, con il suo alleato Vendola, inciampi sui sassi dell'azione di governo. Puntare sul peggio non è mai una buona idea in politica. E Renzi ha dimostrato di avere molto intuito.

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