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Questo articolo è stato pubblicato il 13 febbraio 2013 alle ore 08:34.
L'ultima modifica è del 13 febbraio 2013 alle ore 08:45.
È con profonda emozione che ho appreso la notizia della rinuncia di Papa Benedetto XVI al suo servizio di Vescovo di Roma. Avevo avuto la gioia di parlargli giovedì scorso, al termine dell'udienza concessa ai membri del Pontificio Consiglio della Cultura, riuniti in seduta plenaria. Come sempre era stato squisito, lucidissimo nella memoria e luminoso nell'intelligenza, nel pur breve scambio di parole che avevo avuto con lui.
Eppure, non mi aveva sorpreso ascoltare il commento preoccupato di qualcuno dei presenti, Cardinali e Vescovi di varie parti del mondo, colpito dall'impressione di fragilità fisica che il Papa ci aveva dato.
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Sta proprio in questa paradossale combinazione la chiave di lettura della rinuncia annunciata: da una parte, la coscienza limpida dei propri doveri, delle responsabilità e delle sfide poderose che la Chiesa deve affrontare in questo mondo in così rapida trasformazione; dall'altra, la percezione di una debolezza di forze, che appariva chiaramente impari ai pesi da portare. Sono toccanti le parole con cui lo stesso Papa ha espresso tutto questo: «Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino».
«Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell'animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato».
Appare in queste espressioni la grandezza dell'uomo spirituale, che tutto considera nella verità davanti a Dio e sceglie infine ciò che è più conforme secondo la sua coscienza al servizio d'amore da rendere. La lucida consapevolezza del compito e la non meno lucida coscienza del degradare delle proprie forze fisiche trovano sintesi in quest'atto di amore a Cristo e alla Chiesa, per cui il Papa rinuncia al servizio pontificale e sceglie la via del silenzio orante e dell'umiltà confessante: «Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio».
Emerge così in quest'atto, semplice e solenne, storico per la sua portata, anche se non unico nella bimillenaria vicenda della Chiesa Cattolica, quello che è stato il vero motivo ispiratore di questi otto anni di pontificato: la riforma spirituale della Chiesa, alla luce del primato assoluto della fede in Dio.
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