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Questo articolo è stato pubblicato il 13 febbraio 2013 alle ore 08:34.
L'ultima modifica è del 13 febbraio 2013 alle ore 08:45.

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Sorge spontanea l'analogia con Celestino V, il Papa santo, che rinuncia al servizio petrino dopo appena un mese di pontificato perché ritiene di poter meglio servire il popolo di Dio con la preghiera e con l'offerta sacrificale di sé. È in nome dell'obbedienza a Dio e alla verità che solo gli rende gloria, che Benedetto XVI ha affrontato e governato la dolorosa vicenda degli abusi sessuali, presenti fra alcuni membri del clero specialmente nelle decadi della seconda metà del secolo passato.
Convinto della forza della parola di Gesù «la verità vi farà liberi» (Giovanni 8,32), questo Pontefice ha voluto che si facesse piena verità, anzitutto a sostegno delle vittime e poi per intraprendere coraggiosi cammini di purificazione e di rinnovamento.
Con la stessa fiducia in Dio Papa Ratzinger ha portato avanti con decisione il suo rapporto di privilegiata amicizia verso il popolo ebraico, la cui fede è santa radice di quella dei cristiani, come pure il dialogo franco e sereno con le grandi religioni universali e in particolare con l'Islam, certo che il Dio unico avrebbe guidato i credenti sinceri sulle vie della pace.
In campo ecumenico, la mano tesa alle diverse tradizioni confessionali si è aperta anche a proposte coraggiose verso i seguaci di Mons. Lefebvre, anche qui confidando nell'esigenza di ogni autentico credente di voler piacere a Dio e non ai propri sostenitori mondani.
All'interno della Chiesa cattolica, poi, questo Papa ha promosso la riforma spirituale, insistendo mediante continui e profondi insegnamenti sulla necessità della conversione dei cuori e del rinnovamento dei costumi, premessa indispensabile di ogni possibile rinnovamento strutturale. La riforma, aveva scritto da giovane Professore, «consiste nell'appartenere unicamente e interamente alla fraternità di Gesù Cristo… Rinnovamento è divenire semplici, rivolgersi a quella vera semplicità… che in fondo è un'eco della semplicità del Dio uno. Questo è il vero rinnovamento per noi cristiani, per ciascuno di noi e per la Chiesa intera» (Il nuovo popolo di Dio, Brescia 1971, 301. 303).
L'autentica riforma, voluta da questo Papa, è stata, insomma, quella della conversione evangelica, la sola capace di fare della Chiesa un segno credibile di luce e di speranza per tutti. Sarà dal riconoscimento del primato di Dio confessato e amato che verrà la nuova primavera, di cui il popolo di Dio e gli uomini tutti hanno necessità assoluta. «Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia - aveva detto qualche settimana prima di diventare Papa - sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo… Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all'intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini» (Subiaco, 1 Aprile 2005).
Con il suo pontificato e, in modo singolare, con quest'atto umile e grande della rinuncia ad esso per amore di Cristo e della Chiesa, Benedetto XVI ha dimostrato - al di là di ogni possibile incomprensione - di essere un uomo così. Ed è grazie a uomini come lui, che - come egli stesso diceva tre giorni fa ai Seminaristi di Roma - «l'albero della Chiesa non è un albero morente, ma l'albero che cresce sempre di nuovo».
Arcivescovo di Chieti-Vasto

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