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Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2013 alle ore 10:30.

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Come in un perverso gioco delle "matrioske" (le bambole russe che s'incastrano una dentro l'altra), la crisi italiana si aggroviglia invece di dipanarsi. Il tono con cui Napolitano richiama alla realtà i soggetti politici ha qualcosa di drammatico: date in fretta un governo all'Italia. E poche ore dopo – non proprio un fulmine a ciel sereno – l'agenzia Fitch spiega con l'arma del declassamento che l'incertezza, o meglio la paralisi post-elettorale, comporta un prezzo alto. Abbiamo già cominciato a pagarlo. Draghi può fare molto, ma non tutto; e l'Europa non può permettersi un altro «caso Italia».

Sullo sfondo c'è il consueto psicodramma giudiziario in cui è immerso Berlusconi impegnato a sfuggire a una triplice tenaglia che si va chiudendo su di lui: processo Mediaset, caso De Gregorio e naturalmente l'affare Ruby. Ma ora anche l'uomo nuovo, Beppe Grillo, si trova a dover fornire qualche spiegazione dopo lo "scoop" dell'"Espresso" su certi intrighi finanziari in Costarica dove sembrano coinvolti il suo autista e una sua parente.

Questo elenco può apparire persino scontato, ma aiuta a capire perché siamo nella palude. Il problema è che l'Italia non è un grande Belgio e non può permettersi un'analoga ingessatura. Si guarda come sempre a Napolitano e alla sua determinazione. Ed è vero, come sostiene Enrico Letta, che si può procedere solo un passo alla volta, senza strappi. Affermazione giusta, ma Letta è il primo a sapere – anche perché parlava al seminario di Cernobbio – che il mondo economico è sulle spine, a dir poco, e vuole vedere al più presto un governo investito della fiducia parlamentare.

Invece si procede in maniera confusa. A piccoli passi, sì: ma per andare dove? Il famoso "piano A" del Pd contiene una discreta dose di ambiguità. I fatidici Otto Punti di Bersani servono a ottenere l'incarico dal Quirinale, ma certo non a fare un governo. Qualcuno dice che sul terreno politico hanno poco senso, inutili per realizzare alleanze, ma ne hanno molto in una prospettiva elettorale: sono un manifesto idoneo per presentarsi di nuovo davanti agli elettori.

Tuttavia sembrava di aver capito che il Pd, dopo la direzione, avesse rinunciato all'ipotesi elettorale. Ma è proprio così? O si tratta solo di una tattica dilatoria in attesa che venga a scadenza, fra poche settimane, il mandato del capo dello Stato? Ieri l'"Unità" scriveva che l'atteggiamento rispettoso verso Napolitano «è anche un modo per evitare di alimentare tensioni nel Pd, già percorso da una discussione per ora tenuta sotto controllo tra chi, come Orfini e Fassina, dice che in caso non veda la luce il "governo di combattimento" si debba andare a nuove elezioni e chi, come Gentiloni, giudica negativo un ritorno alle urne».

Per la verità ieri anche Letta è stato esplicito: ha attaccato Alfano per dire che è da scriteriati pensare a nuove elezioni. Ma, come è noto, spesso si parla a nuora perché suocera intenda. Letta criticava il Pdl per farsi sentire dagli irruenti seguaci di Bersani. Il quale farebbe bene a eliminare ogni ambiguità. Ci sono due modi per farlo. Il primo è affidarsi senza esitazioni a Napolitano. Il secondo è usare l'elezione del presidente del Senato, fra pochi giorni, per dare un segnale di equilibrio agli altri blocchi presenti in Parlamento: anziché soccombere alla tentazione di piantare una bandiera di parte su tutte le cariche istituzionali.
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