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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2014 alle ore 17:16.

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Bene, noi abbiamo accelerato e deciso di cambiare l'impostazione del Governo nelle forze politiche che lo sostengono perché pensiamo che fuori di qui ci sia un'Italia viva, brillante e curiosa; un'Italia che, nell'aspettarci fuori da questi Palazzi, si vuole bene e che ci tiene a presentarsi bene. Un'Italia che non ci segue per un motivo: perché è avanti a noi. È avanti a noi: siamo noi a doverla rincorrere e doverla recuperare. È l'Italia che forse si sta stancando di aspettarci, e vi propongo, vi proponiamo, come Governo, di fare di tutto per raggiungerla attraverso un pacchetto di riforme che parta e consideri il semestre europeo come la principale opportunità, che affronti prima del semestre europeo le scelte legate alle politiche sul lavoro, sul fisco, sulla pubblica amministrazione, sulla giustizia, che metta al centro il valore della scuola, ma che parta naturalmente dalle riforme costituzionali, istituzionali ed elettorali, sulle quali si è registrato un accordo che va oltre la maggioranza che sostiene questo Governo, e per il quale noi non possiamo che dire che gli accordi li rispetteremo nei tempi e nelle modalità prestabilite.

Pensiamo però che si debba partire da un presupposto. Il presupposto è che eravamo ad un bivio: o si andava alle elezioni, più o meno... (Commenti dal Gruppo M5S). Noi non abbiamo paura di andare alle elezioni.

VOCE DAL GRUPPO M5S. Bravo!

RENZI, presidente del Consiglio dei ministri. Siamo abituati, come partito... (Applausi ironici dal Gruppo M5S). Dico ai senatori del Movimento 5 Stelle, che imparo ad apprezzare in quest'Aula, che sono il segretario di un partito politico che non ha mai paura di candidarsi alle elezioni: anche dove i sondaggi dicono il contrario, come in Sardegna (Applausi dal Gruppo PD),anche dove c'è difficoltà, noi non abbiamo paura di andare alle elezioni, e in questo primo anno di vita parlamentare, in cui abbiamo ricevuto da voi presunte lezioni di democrazia, vi segnalo, gentili senatrici ed egregi senatori, che nelle quattro elezioni regionali che si sono svolte - quelle della Sardegna, della Basilicata e delle Province di Trento e Bolzano - il Partito Democratico si è sempre presentato e ha sempre vinto. Non posso dire la stessa cosa per voi. (Applausi dal Gruppo PD).

Non abbiamo paura di andare alle elezioni. Noi abbiamo nel nostro DNA la volontà e il desiderio di confrontarci, ma il passaggio elettorale che ci avrebbe atteso in queste ore era un passaggio elettorale nel quale, stante la legge elettorale uscita dalla sentenza della Corte costituzionale, si sarebbe riprodotto uno schema che è quello che avrebbe portato ad un sostanziale Governo di larghe intese. Non vi è chi non veda che non sarebbe stato possibile per alcuno ottenere la maggioranza necessaria a governare nei due rami del Parlamento senza una modifica delle regole del gioco, e noi abbiamo proposto, dal primo giorno, che le regole del gioco fossero scritte da tutti, anche da chi prima ha alzato la voce. Pensiamo infatti, pensavamo e penseremo che sia un valore condiviso che dopo vent'anni in cui, prima la sinistra, poi la destra, prima il centrosinistra e poi il centrodestra, quando si è trattato di scrivere le regole costituzionali hanno proceduto a maggioranza - il centrosinistra nel 2001, il centrodestra nel 2006 - con la legge elettorale connessa, che scrivere le regole del gioco insieme sia il valore fondamentale e costitutivo del rispetto delle istituzioni.

Proveremo a farlo, ma in una legislatura alla quale abbiamo allungato l'orizzonte politico. Certo, non quello costituzionale e istituzionale, che è fissato, come è naturale, nel 2018. Arrivare però al 2018 ha un senso soltanto se avvertiamo l'urgenza da cui sono partito nel mio intervento, che è l'urgenza di un cambiamento radicale per cui, mentre i tempi della politica sembrano dilatati, le persone che la mattina accompagnano i figli a scuola non possono permettersi rinvii.

Mentre la politica - lasciatevelo dire da un sindaco - da Roma sembra una politica nella quale la dilazione è costante; una politica nella quale si può anche rinviare al giorno dopo, si può allungare il tempo della decisione senza fine, si può rimandare l'urgenza dei provvedimenti; mentre fuori da qui questo sembra naturale, quando poi si va nella vita di tutti i giorni, quando si va a parlare con le persone che faticano anche semplicemente a conciliare i propri orari, anche semplicemente a conciliare la propria quotidianità di vita, il senso dell'urgenza, del tempo che non può passare invano, diventa un elemento centrale.

Ecco perché noi proponiamo a questo Senato di uscire dal genere letterario che i talk show hanno sostanzialmente sdoganato, un genere letterario per il quale non vi è trasmissione che non parta da un giudizio impietoso sulla situazione italiana, e poi con un servizio di una troupe all'estero che racconta come all'estero invece le cose vanno perfettamente bene e tutto sia straordinariamente bello e felice. Ormai è diventato un focus letterario; ormai noi abbiamo come punto di riferimento il fatto che nelle trasmissioni televisive, nei talk show, fuori da qui, fuori dall'Italia, tutto va bene e da noi tutto va male: non è così.

Usciamo dal coro della lamentazione; proviamo a immaginare un percorso concreto in cui la differenza tra sogno e obiettivo - ha detto qualcuno - è una data. Diamoci delle scadenze e proviamo ad allungare il lavoro di questi anni dando concretamente dei passaggi puntuali. Questo consente di arrivare al 1° luglio - qualcuno dice - avendo fatto i compiti a casa; questo consente di arrivare, cioè, all'appuntamento con il semestre europeo dando un valore non meramente formale a quell'appuntamento, ma dandogli un valore sostanziale. Non tedierò la vostra pazienza con un'analisi, che pure sarebbe doverosa (ma non mancheranno altre occasioni), sulla situazione di profondo sconvolgimento istituzionale internazionale.

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