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Questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2014 alle ore 12:12.
L'ultima modifica è del 14 maggio 2014 alle ore 17:04.

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Parità di genere nelle liste per le elezioni europee, ma solo a partire dal 2019. Con 157 voti a favore, 34 contrari e 23 astenuti, il Senato ha approvato la riforma della legge per l'elezione dei componenti italiani al Parlamento europeo, che contiente la parità di genere.
Il provvedimento passa ora all'esame della Camera. L'Aula del Senato poco prima aveva dato il via libera con 155 sì, 58 no e 15 astenuti al contestato emendamento della relatrice, Doris Lo Moro (Pd), sulla introduzione delle quote rosa nelle elezioni europee. Un emendamento che prevede al termine di una lunga mediazione una misura transitoria per le elezioni di maggio 2014. «Quando si tratta di legiferare per i diritti delle donne - ha dichiarato ieri la relatrice Doris Lo Moro . c'è sempre motivo per rinviare, per dire che il problema è un altro».

Cosa prevede l'emendamento
La norma é frutto di un accordo che si é perfezionato ieri con l'emendamento presentato dalla relatrice del provvedimento, Doris Lo Moro (Pd), che l'Aula ha approvato. «Nelle prime elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia successive alla data di entrata in vigore della presente legge - si prevede - nel caso di tre preferenze espresse» queste «devono riguardare candidati di sesso diverso, pena l'annullamento della terza preferenza». Per le elezioni successive, dunque a partire dal 2019, si stabilisce che: «all'atto della presentazione, in ciascuna lista i candidati dello stesso sesso non possono eccedere la metà, con arrotondamento all'unità. Nell'ordine di lista, i primi due candidati devono essere di sesso diverso».

Le verifiche spettano all'ufficio elettorale circoscrizionale
All'ufficio elettorale circoscrizionale il compito di «verifica» del rispetto della parità nelle liste. Per chi non rispetta le regole la lista si riduce «cancellando i nomi dei candidati appartenenti al genere più rappresentato, procedendo dall'ultimo della lista, in modo da assicurare il rispetto della medesima disposizione». Qualora la lista, «all'esito della cancellazione delle candidature eccedenti, contenga un numero di candidati inferiore al minimo prescritto», l'ufficio «ricusa la lista». Lo stesso organo «verifica altresì» che nelle liste dei candidati sia rispettato il criterio delle quote. «In caso contrario, modifica di conseguenza l'ordine di lista, collocando dopo il primo candidato quello successivo di sesso diverso». Infine, si modifica il titolo V della legge per la promozione dell'equilibrio di genere nella rappresentanza politica alle elezioni del Parlamento europeo, stabilendo che l'elettore può esprimere fino a tre preferenze. «Nel caso di più preferenze espresse, queste devono riguardare candidati di sesso diverso, pena l'annullamento della seconda e della terza preferenza». E si inserisce la norma transitoria per le elezioni del prossimo maggio.

Il sì da una maggioranza alternativa
Una "strana" maggioranza ha detto sì all'emendamento. I Popolari si sono astenuti su quella che il senatore Tito Di Maggio ha definito in Aula una «ignominiosa proposta di mediazione», una «proposta che nega se stessa». La senatrice Loredana De Petris (Sel) ha dichiarato che ci si «dovrebbe vergognare» per aver inserito una norma che per la quale la parità di generé entrerà in vigore «soltanto nel 2019». Sel poi non ha partecipato al voto perché il testo non è degno «neanche del nostro voto contrario». «Avevo apposto la mia firma sotto il provvedimento, ma vista la sua riformulazione offensiva non posso che ritirarla e annunciare il voto contrario del mio gruppo», ha detto la senatrice Elena Fattori del Movimento 5 stelle in sede di dichiarazione di voto sul ddl per la parità di genere alle elezioni europee. Contro l'emendamento hanno votato anche Scelta Civica e Popolari per l'Italia. A favore si sono espressi Pd, Ncd e FI. Contro il testo dell'accordo M5S e Sel.

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