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Questo articolo è stato pubblicato il 30 maggio 2014 alle ore 08:44.
L'ultima modifica è del 12 giugno 2014 alle ore 10:31.
Dopo 12 anni di interruzione a causa della seconda guerra mondiale l'appuntamento con la Coppa Rimet riprese nel 1950. Paese organizzatore il Brasile, favorita d'obbligo l'Italia: almeno fino al 4 maggio del 1949, la data della tragedia di Superga. Insieme al Grande Torino svanirono i sogni della Nazionale, che avrebbe davvero potuto vincere il terzo mondiale (per di più consecutivo) e aggiudicarsi in via definitiva la Coppa Rimet. I rincalzi, seppur ottimi, non erano certo all'altezza di quella squadra leggendaria: a complicare la situazione ci fu poi la scelta di un modulo tattico (il WM) che era troppo sbilanciato in avanti per le caratteristiche dell'Italia. Molti commentatori diedero la colpa di un mondiale deludente per gli azzurri proprio alla disposizione dei giocatori in campo. Resto dell'avviso che, con il Grande Torino a fare da spina dorsale, quell'edizione si sarebbe chiusa diversamente.
In ogni caso, nella partita d'esordio, l'Italia fu battuta dalla Svezia per 3-2 senza mostrare un minimo di grinta. Nella seconda partita, contro il Paraguay, vennero sostituiti ben sette titolari e arrivò un'inutile vittoria. La Svezia infatti, pareggiando contro gli stessi avversari, raggiunse quota tre punti nel gironcino e insieme a Brasile, Uruguay e Spagna diede vita alla fase finale del mondiale che, per la prima e unica volta, non sarebbe stata giocata con scontri diretti. Ne parleremo tra poco.
Vale la pena di registrare l'eliminazione dell'Inghilterra: per la prima volta i maestri del calcio si presentavano a una competizione internazionale, che in passato avevano sempre disertato vantando una autoproclamata «indiscussa superiorità» su tutte le altre nazionali. Furono eliminati dagli Stati Uniti, che si erano presentati con una formazione quasi improvvisata e rimediata all'ultimo momento:1-0 per gli americani, e fine dei maestri.
L'Uruguay, dopo aver travolto la Bolivia con otto gol, quattro dei quali di Schiaffino, che era originario di Chiavari, ebbe il vantaggio di non giocare la seconda e terza gara vista l'assenza di Perù ed Ecuador, che avevano rinunciato al mondiale in extremis e non erano stati sostituiti nel tabellone. Freschezza in più nella gambe, che non guasta mai.
E il Brasile, i padroni di casa? Bailavano futbol e mandavano in delirio l'intera nazione. I 150mila spettatori del Maracanà, dove giocavano i verdeoro, avevano assistito alla distruzione di Messico e Jugoslavia: non soltanto per i risultati, rispettivamente 4-0 e 2-0, quanto per la superiorità tecnica dimostrata in entrambe le partite. Non a caso le due avversarie adottavano il WM, che sbilanciava in modo eccessivo la disposizione degli uomini in campo regalando ampi spazi ai giocolieri brasiliani.
Che non fosse tutto rose e fiori, tuttavia, i padroni di casa avrebbero dovuto intuirlo dopo il faticoso pareggio con la Svizzera: che stava chiusa in difesa e rilanciava l'azione, proprio come aveva fatto contro lo stesso Brasile la nazionale italiana nella vittoriosa semifinale di Francia 1938. Ne uscì un 2-2 che, invece di creare il giusto allarme, venne derubricato a semplice incidente di percorso.
E tutto riprese a girare a meraviglia, per i verdeoro, nel girone finale a quattro: la Coppa Rimet sarebbe andata a chi, dopo aver giocato contro tutti gli avversari, avesse fatto più punti. L'Uruguay esordì a San Paolo, in una giornata piovosa che aveva reso pesante il campo di gioco: a fatica riuscì a pareggiare 2-2 contro la Spagna, dopo essere stato in svantaggio fino a poco più di un quarto d'ora dalla fine. Il Brasile disintegrò la Svezia con un clamoroso 7-1: anche in questo caso l'avversario adottava il WM. Nel secondo turno l'Uruguay faticò a superare la Svezia per 3-2 dopo essere andato in svantaggio per ben due volte. I padroni di casa riservarono alla Spagna lo stesso trattamento che avevano regalato agli svedesi: 6-1 e campionato del mondo praticamente in tasca. La classifica recitava: Brasile 4 punti, Uruguay 3, Svezia 2 (aveva battuto la Spagna per 3-1) e Spagna 0. Con l'Uruguay, apparso fino a quel punto nettamente più debole, sarebbe bastato un pareggio.
Per la finale il Maracanà era pieno all'inverosimile, ben oltre la capienza consentita: le cronache dell'epoca riferiscono di oltre 160mila spettatori, con tutto il resto del Paese a spingere verso la vittoria i propri beniamini. La sconfitta non era stata presa in considerazione: erano già stati predisposti i festeggiamenti, stampati milioni di dischi che raccontavano il successo dei campioni del mondo, addirittura prima della partita un ministro tenne un discorso ai tifosi parlando del titolo che il Brasile avrebbe conquistato da lì a poco.
Brasile che iniziò la partita deliziando il pubblico: dribbling, veroniche, palleggi e passaggi, con gli uruguagi che subivano a testa bassa e cercavano di arginare lo spettacolo con un rigidissimo catenaccio, evoluzione tattica del WM che blindava la difesa invece di lasciarla scoperta. Per tutto il primo tempo si giocò in una sola metà campo, quella dell'Uruguay, ma Schaffino e compagni riuscirono a resistere. A inizio ripresa il copione già scritto sembrò prendere corpo. Solita azione ricamata e tiro di Friaca, imparabile: 1-0 e via ai festeggiamenti, con l'intero Paese in delirio per i propri beniamini.
L'Uruguay aspettava sornione il momento per colpire: fu la prima occasione della partita e Schiaffino, al 66esimo minuto, la sfruttò da campione qual era mettendo a segno il gol del pareggio. Il Maracanà, per un attimo, divenne muto: ma riprese subito a invocare la vittoria, a spingere i verdeoro verso un successo che anche il solo pareggio avrebbe garantito, ma che non poteva bastare ai 160mila della bolgia umana che ricopriva gli spalti. I brasiliani ripresero cosi da dove avevano lasciato, con il loro gioco spettacolare e frizzante e gli avversari costretti a subire. Per chiudere i mondiale bastò un solo passaggio dalla difesa, un lungo rilancio che Ghiggia raccolse come se fosse oro. Scartò secco il difensore brasiliano, dimostrando a tutti che in fatto di tecnica non aveva nulla da imparare da nessuno, e si involò a rete per il 2-1. Il Maracanà divenne il regno del silenzio, come tutto il resto del Paese. Alla fine della partita sul campo rimasero solo gli uruguagi, in un'atmosfera surreale dove era scomparsa persino la banda incaricata di suonare l'inno nazionale del vincitore. Dopo quella sconfitta ci furono decine di suicidi e vennero proclamati tre giorni di lutto nazionale.
Quel Brasile, che per chi l'ha visto giocare era addirittura superiore a quello di Pelè, sarebbe stato condatto all'oblio, dimenticato da un Paese che non sapeva accettare l'idea della sconfitta. L'Uruguay invece sarebbe entrato nella leggenda, dimostrando tra l'altro che l'impostazione tattica dell'Italia del 1938, pur con qualche aggiustamento, era ancora valida.
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