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Questo articolo è stato pubblicato il 10 giugno 2014 alle ore 11:22.
L'ultima modifica è del 10 giugno 2014 alle ore 11:57.

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A pochi giorni dall'inizio il Mondiale brasiliano sembra già assegnato: al Brasile, ovviamente. Tutti pensano, probabilmente con buone ragioni, che i verdeoro siano i più forti. Tutti pensano che per Neymar e compagni sia impossibile mancare l'appuntamento con la Storia, quella con la "S" maiuscola, destinata a essere riscritta per vendicare finalmente l'onta della resa vergognosa all'Uruguay nel 1950. Tutti pensano che la classe e la fantasia innate, abbinate alla solidità acquisita giocando in Europa, mettano i brasiliani su un livello inarrivabile per tutti gli altri concorrenti.

Lo pensano tutti ma soprattutto lo pensano i brasiliani, tutti i brasiliani: Pelé ha già pronosticato il sesto titolo come sicuro. Detto da lui che ne ha vinti tre verrebbe da credergli. Ma non è solo Pelé: è un intero Paese che da un lato dà per scontato il trionfo, dall'altro rifiuta in modo categorico la sola possibilità di ipotizzare una sconfitta, bollata come fantasia riservata ai poveretti che in Brasile ci vanno per concorrere dal secondo posto in giù.

In un Mondiale non funziona così, quasi mai: la Storia della Coppa del Mondo, anche questa con la S maiuscola, è piena di sorprese, di favoriti crollati prima della linea del traguardo, di sogni travolti in modo brutale da un avversario spuntato dal nulla.

E proprio il Brasile, dall'alto dei suoi cinque titoli mondiali, ha scritto molte delle pagine che iniziano con il titolo: «Sconfitta». Ogni volta che la Nazionale brasiliana è partita troppo sicura di sé, con in testa solo la vittoria, ha perso il titolo. Se guardiamo al passato ci accorgiamo che una sola volta, nel 1970, ha rispettato il ruolo di favorita assoluta. Ma quella non era una squadra: era «La squadra». La compagine perfetta.

Nel 1938 i brasiliani si presentarono sicuri di vincere: prima della semifinale con l'Italia avevano già prenotato i posti sull'unico aereo per Parigi. Li cedettero a Giuseppe Meazza e compagni. Del 1950 abbiamo già detto, e su quella sconfitta sono stati scritti fiumi di parole. Ma non è diversa la caduta degli dei nel 1966 in Inghiterra, quando in molti aspettavano la tripletta di Pelé. Non è diverso il crollo nel 1982 davanti all'Italia di Bearzot: anche in quel caso la vittoria era l'unica opzione per una squadra che reggeva il confronto con quella del 1970. E puntuale arrivò la sconfitta. Come in Francia, nel 1998, quando il Fenomeno (al secolo Ronaldo) non riuscì ad alzare la Coppa.

Le vittorie più belle del Brasile, per paradosso, sono arrivate quando i suoi giocatori sono passati dalle acque della vasca dell'umiltà: nel 1958 in Svezia, quando impararono il catenaccio snaturando per la prima volta il loro modo di giocare. Nel 1962, quando la grande emergenza fu l'infortunio di Pelé proprio nella prima partita del torneo. Nel 1994, quando nessuno si aspettava che una squadra a detta di tutti modesta potesse arrivare fino in fondo.

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