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Questo articolo è stato pubblicato il 09 luglio 2014 alle ore 07:22.
L'ultima modifica è del 09 luglio 2014 alle ore 08:51.

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Le lacrime di David Luiz dopo la disfatta del Brasile nella semifinale contro la Germania (Reuters)Le lacrime di David Luiz dopo la disfatta del Brasile nella semifinale contro la Germania (Reuters)

Notte di storia, e di storie da raccontare. Nel bene e nel male. C'è la storia dei freddi numeri, gli almanacchi e i dati di fatto, ed è quella che tutto sommato ci colpisce più superficialmente. Impressionante, certo, il 7-1 con cui la Germania ha annientato e umiliato in Brasile a Belo Horizonte, ad un passo dal sogno della finale di Rio. Proporzioni impensabili, che nemmeno i bookmakers avevano preso in considerazione. Record assoluto i sei gol di scarto in una semifinale mondiale e passivo mai così pesante per i la Selecao in casa. Le storie più coinvolgenti restano però, sempre, quelle umane e personali dei protagonisti, che finiscono giocoforza sotto la lente di un eterno esperimento antropologico. In ordine sparso c'è la storia di Neymar e del suo sogno infranto. Una costola incrinata in un incidente di gioco che lo costringe ad abbandonare una squadra che da lui dipende quasi totalmente. Uno psicodramma , se non fosse che non sapremo mai se con lui in campo (e con lo squalificato Thiago Silva) sarebbe andata diversamente. E quindi viene facile pensare o malignare sul fatto che tutto sommato sia meglio passare alla storia come l'eroe sfortunato che non ha avuto il privilegio di accompagnare i suoi alla meta. Quasi un sollievo, visto che la Germania vista ieri le avrebbe suonate a chiunque , magari con un margine più ridotto ma comunque importante. Perché - pariamoci chiaro – in questo Brasile c'è tanta normalità che sconfina addirittura in alcuni casi in mediocrità, ed è già un miracolo l'approdo in semifinale.

C'è la storia di David Luiz che piange per il suo paese. Spettacolare sempre nelle sue esternazioni, accusato a tratti anche di poca spontaneità come nel suo voler portare in trionfo davanti al pubblico brasiliano il giovane gioiello colombiano James Rodriguez. Ma sempre energetico con quel suo modo di comunicare esternando i sentimenti più estremi. Ieri sera le sue lacrime, di artefatto, non avevano proprio nulla. Erano quelle della sofferenza vera, senza spettacolarizzazione e singhiozzi, che sgorgano discrete e composte ma inarrestabili. C'è quella di Julio Cesar. Magone anche per lui, per il peggior epilogo che potesse capitare ad uno dei portieri più forti del mondo, che si presenta ai microfono ancora stordito da quei sette palloni che gli sono capitati tra capo e collo. E quella di Scolari che chiede scusa all'intero paese con un'assunzione totale di responsabilità, senza scaricare il barile su niente e nessuno. Dall'altra parte c'è la storia di chi, invece, la carriera nazionale la chiude come meglio non avrebbe chiesto neanche nei sogni più segreti: Miro Klose, che con 16 gol bagna il naso a Ronaldo il fenomeno e mette il piede nella leggenda frantumando il record dell' icona verdeoro. Proprio in Brasile. Una metafora delle nuove attuali gerarchie del pallone. Proprio' contro' il Brasile, in una notte che, anche in caso di vittoria in finale della formazione tedesca, sarà ricordata come la vera impresa epica di questo mondiale, come accadde agli azzurri proprio contro i tedeschi nel 2006. E infine c'è la storia di un paese che ha imparato anche a perdere. Con una compostezza che non gli è mai stata propria. Il paese che il calcio lo ha sempre insegnato agli altri è cresciuto, pur nel dramma di un contesto sociale difficile. Si temevano reazione immediate, scontri, incidenti. Una bomba a orologeria che invece non è scoppiata.

Fin qui – almeno per ora - tutto tace, vivaddio. In fondo, con tanta pochezza , chissà che non si siano risparmiati un secondo Maracanazo, che sarebbe stato ancor più difficile da digerire. La cronaca? Bastano poche righe. Poco più che una lista della spesa visto che alla mezz'ora la gara è già chiusa con i 5 gol incassati senza battere ciglio. Suonati come pugili, neanche il tempo di risollevarsi e la palla di nuovo in fondo al sacco. Bernard e Dante, i sostituti di Neymar e Thiago Silva sono una sciagura. Resistenza zero. E così Muller, Klose, due volte Kroos e poi Khedira. I fischi impietosi per gli ectoplasmi Fred e Hulk. E il doppio colpo di grazia di Schuerrle. Una Germania perfetta, una condizione atletica al top, tecnica individuale da vendere – Muller su tutti, incontenibile – grande organizzazione di gioco e nessun atteggiamento strafottente, neanche nel momento più basso del Brasile. Persino l'esultanza sempre contenuta, rigorosa e discreta. Che però, come si dice in gergo, ‘non si ferma'. Stacca il piede dall'acceleratore solo un po', concedendo a Oscar, al 90' il gol salva vergogna. Prima di allora gli impercettibili accenni di reazione erano rimbalzati sul muro di gomma di un eccezionale Neuer, tanto per cambiare. E adesso, per i Pentacampeon, il bello sarebbe poter abbassare la saracinesca e scomparire dalla circolazione, ma resta un terzo posto da conquistare nella partita più inutile per definizione, quella che nessuno vorrebbe mai giocare. Ma soprattutto, incombe il serio rischio che sia l'Argentina di Messi a sollevare al cielo la Coppa del Mondo. Sarebbe un dispetto del destino insopportabile, la chiusura di un cerchio maledetto.

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