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Questo articolo è stato pubblicato il 23 settembre 2014 alle ore 06:36.
L'ultima modifica è del 23 settembre 2014 alle ore 10:56.

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L'Italia di oggi sta meglio o peggio dell'Italia dell'anno scorso?
Ferroviariamente?

No, il Paese. Lei è il capo di una delle più grandi aziende di questo Paese. Che cosa manca a questo Paese per farlo ripartire?
Gli interventi nelle infrastrutture in tempi brevi, secondo me. Noi abbiamo diversi soldi fermi e quindi anche la logica del commissario può essere una soluzione.

Privilegiando le opere in corso...
Privilegiando le opere in corso. Ma noi ne abbiamo diverse in corso, contabilizziamo quasi tre miliardi l'anno, cioè lavori fatti e pagati. Qualche anno fa quando era in corso l'Av si arrivava a 6 miliardi, ma comunque già l'anno prossimo con i lotti costruttivi ulteriori si dovrebbe arrivare a 4 miliardi di contabilizzazione. Poi per la Napoli-Bari e il primo tratto della Catania Catenanuova-Raddusa, perché stiamo cercando di impostare le cose in modo che i primi contratti partano entro ottobre-novembre 2015. Il problema è che da un progetto preliminare approvato fino al cantiere operativo passano quattro anni con i tempi nostri. Allora noi cerchiamo di ridurre i tempi di approvazione, non le regole, il codice degli appalti non lo tocchiamo.

Lei che è uno dei più grandi investitori italiani e ha in mano qualcosa di veramente decisivo per il presente e il futuro, ha la percezione che questo Paese si possa rimettere in moto? Ce la farete a fare queste opere? Sta cambiando qualcosa nella burocrazia italiana, nel rapporto tra chi deve fare opere pubbliche e chi ha responsabilità regolamentari, amministrative, di giustizia?
Io sono fiducioso perché quello che abbiamo realizzato nel passato con l'attivazione dell'alta velocità era impensabile.

Voi siete legittimati.
Sì, ma insisto: oggi ci sono troppi riferimenti, troppa frammentazione. Mi ricordo un verbale di accordo per l'esecuzione di un lavoro con 60 firme, ce l'ho ancora. Con 60 firme è chiaro che non ne esci perché significa 60 persone, 60 uffici, 60 procedure. Troppi riferimenti, questo è il problema: se fossero concentrati in un numero ridotto si sarebbe avvantaggiati. La figura del commissario alla fine cerca di fare una sintesi, ma avrà gli stessi obblighi, cercherà di fare, di spingere di dire va bene, decido comunque. Noi ci crediamo, nelle infrastrutture. Anche l'anno scorso c'erano soldi da spendere in Europa, ho detto "dateli a noi che li spendiamo". Li abbiamo appaltati tutti.

Il presidente del Consiglio ogni giorno dice che Juncker deve attivare 300 miliardi. Ma ci sono due culture: da una parte i francesi e dall'altra i tedeschi che parlano di attivare soprattutto investimenti privati. Noi in Italia abbiamo una macchina pubblica, una macchina dello Stato che consenta di sfruttare questa opportunità?

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