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Dossier | N. 177 articoliElezioni 2018-Ultime notizie, interviste e video

Da Sassuolo a Lecco, i distretti con la Lega. Bassi salari e lavoro la leva dei 5 Stelle al Sud

«Lega. Perché siamo stanchi di promesse». Non una scelta isolata quelle dell’imprenditore marchigiano, titolare di un’azienda da 40 addetti impegnati a produrre calzature. Altri suoi 1.820 concittadini di Montegranaro, cuore del distretto fermano, hanno infatti votato alla Camera nello stesso modo, portando il partito guidato da Matteo Salvini dallo sconsolante 0,7% del 2013 alla seconda posizione assoluta (25%, dietro solo ai Cinque Stelle). Quanto accaduto qui, seppure non con la stessa intensità, è una buona sintesi dell’orientamento delle principali aree manifatturiere del Paese. Se infatti nelle regioni del Sud è stato soprattutto il movimento Cinque Stelle a conquistare nuovi consensi, l’Italia dei distretti ha decisamente virato sulla Lega.

Anche se i dati per la Camera non sono del tutto omogenei (nel 2013 si votavano i simboli delle liste, questa volta bastava anche una x sul nome del candidato di coalizione) il confronto a livello comunale offre una lettura chiara e inequivoca: il Pd cede consensi quasi ovunque, i rapporti di forza tra Berlusconi e Lega vengono ribaltati, con i voti per Forza Italia in più di un caso addirittura dimezzati, mentre l’avanzata dei grillini, seppur visibile, è meno roboante rispetto alla media nazionale, trainata dal Sud.

Che si tratti dei metalli di Brescia o delle valvole di Lumezzane, della concia di Arzignano o della pelletteria toscana, dell’oreficeria di Valenza e Arezzo o del tessile comasco o ancora della meccanica bergamasca il risultato non cambia. Un voto di cambiamento, più precisamente una richiesta di svolta radicale, che pure arriva dalle aree più sviluppate e “lanciate” del Paese, quelle che negli ultimi due anni hanno beneficiato in modo più diretto e pervasivo della ripresa economica in atto. Tradotta per le aziende del territorio in un aumento deciso di produzione e fatturato, grazie alla ritrovata domanda interna ma anche all’export. In crescita quasi continua da sette anni, le vendite internazionali dei distretti (fonte Intesa Sanpaolo) sono arrivate nei primi 9 mesi 2017 a 73,5 miliardi, 11 in più del 2008.

«Crescere non basta. Perché gli slogan sugli immigrati, sulle banche e sull’Europa sono di facile presa – spiega Gianluigi Viscardi, imprenditore della meccanica strumentale bergamasca e presidente del cluster Fabbrica Intelligente – anche se io mi ricordo gli anni ’80, ai tempi della lira, quando dovevo rifare un listino ogni tre mesi: ingestibile, un passato che non vorrei rivedere». Nel comune in cui è insediata la sua azienda, Terno D’Isola, la Lega ha raddoppiato i consensi al 33%, in caduta Pd e Forza Italia. «Se oggi ordino dei cuscinetti i tempi di consegna sono quadruplicati - spiega - ed è chiaro che ci sia una ripresa. Se parli con la gente però, con gli operai, per loro in fondo non è cambiato nulla, magari gli effetti si vedranno tra qualche mese, intanto la tv raccontava altro. Anche le imprese tuttavia devono fare autocritica, provando ad avere un maggiore impatto sul territorio: non si può sempre e soltanto chiedere».

«Il voto? Non sono solo le imprese a votare – spiega pragmaticamente Maria Lorraine Berton, presidente della sezione occhialeria di Confindustria Belluno Dolomiti – io sono delusa ma capisco gli italiani». A Belluno tutti i maggiori partiti cedono terreno, persino i Cinque Stelle, mentre la Lega triplica i consensi al 23,8%. «Sento un malessere diffuso – spiega l’imprenditrice – e credo soprattutto ci sia voglia di maggiore onestà, il nord ha scelto chi spera possa parlare la sua lingua. E poi, per il Veneto come per la Lombardia, credo sia un voto che premia anche il buon governo regionale».

Situazione non dissimile a Valduggia, quasi più fabbriche che abitanti, uno dei simboli della Valsesia meccanica, con la Lega passata dal 21 al 35% e tutti gli altri (M5S escluso) ad arrancare. «No, la ripresa economica non è bastata – spiega Daniele Salezze, 27 addetti – e forse gli effetti veri si vedranno dopo, un ritardo che ha giocato contro il Governo, che pure era composto anche da ottime persone. Ma non c’è niente da fare, parli con la gente e senti che nei partiti tradizionali non si identifica più».

In termini di mercati esteri la star assoluta distrettuale è la pelletteria di Firenze, feudo renziano che pure ha voltato in parte le spalle al leader Pd. Come a Lastra a Signa, dove il Pd scende dal 43 al 36% mentre la Lega trasforma l’irrilevanza del 2013 (0,6%) in un robusto 15,4%. «I ministri non erano male – spiega il delegato di Confindustria Firenze e Toscana per made in e anticontraffazione Franco Baccani – e Calenda ha fatto un gran lavoro: io non vedevo i presupposti per un cambiamento così radicale. Non parlerei di un voto populista ma di protesta e se parli con la gente ti accorgi che l’errore è stato personalizzare eccessivamente la politica in questi anni. Molti hanno votato contro Renzi, non contro il Pd. Bene così? Per nulla, il Paese ha bisogno di rafforzarsi e invece in assenza di una maggioranza accade esattamente il contrario».

LA MAPPA DEL VOTO NEI DISTRETTI INDUSTRIALI
Percentuale ottenuta dei principali partiti politici nelle ultime due elezioni.
Consistenza delle imprese distrettuali e lavoratori coinvolti (Fonte: Ministero dell'Interno e Intesa Sanpaolo Monitor Distretti)

«È un voto di pancia, credo legato all’immigrazione – spiega Ambrogio Taborelli, imprenditore del distretto tessile comasco e presidente della camera di commercio locale – un modo abbastanza facile di “pescare” nel malcontento». A Montano Lucino, sede di uno dei suoi impianti, la Lega quasi raddoppia al 29,6% , avanti di 4 punti i Cinque Stelle, giù Pd e Forza Italia. «Se penso a chi ha dato qualcosa alle imprese in questi anni mi vengono in mente solo gli ultimi governi. Ma non è solo il mondo del lavoro a votare ed è chiaro che sul tema dell’immigrazione il Nord non si sia sentito “governato” in questi anni».

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Se nei distretti industriali è la Lega a sbancare, al Sud è invece valanga grillina. Dalla Sardegna a Taranto e dintorni fino alla Puglia e Sicilia (si vedano altri articoli in pagina) gli elementi comuni sembrano questi: investimenti dei grandi gruppi e piccole isole felici – come la meccatronica di Bari – non bastano a superare il disagio e a ridurre un tasso di disoccupazione che in alcuni casi supera il 20%. A Priolo, cuore del petrolchimico , fuori dall’enclave la disoccupazione è al 24% e i salari sono bassi. «La situazione dalle nostre parti è drammatica – dice il presidente di Confindustria Siracusa, Diego Bivona – : il reddito procapite, piuttosto elevato qualche anno fa, è crollato. Si registra una mancanza di strategie , di politiche e di scelte». Ma anche nella aree in cui pazientemente Governo e ministero dello Sviluppo hanno affrontato e risolto crisi industriali complesse il risultato non cambia. A nulla è valso convincere gli svizzeri di Sider Alloys a rilanciare l’ex Alcoa in Sardegna, perché a Carbonia il Pd è crollato dal 25 al 17% mentre i Cinque Stelle sono volati dal 34 al 41%. A nulla è valso trovare un investitore (ArcelorMittal) disposto ad iniettare miliardi di euro in Ilva, avviando un lavoro epocale come la copertura dei parchi minerari: a Taranto il Pd scende dal 22 al 14% mentre i Cinque Stelle (la loro idea è riconvertire l’area) scattano in avanti di 20 punti al 47,7%. In fondo, se arriva il reddito di cittadinanza, allo stipendio legato all’acciaio forse si può anche rinunciare.

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