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Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2010 alle ore 20:18.
A queste operazioni se ne possono aggiungere molte altre, tra cui: raccogliere delle informazioni "sul browser che usi, su dove ti trovo e sull'indirizzo IP, nonché sulle pagine che visiti"; raccogliere "informazioni su di te da altri utenti"; mentre "se i tuoi amici si connettono a un'applicazione o sito web, questa entità sarà in grado di accedere al tuo nome, alla tua immagine del profilo, al sesso, all'ID utente e alle informazioni che hai condiviso con l'impostazione "tutti". Potrà anche accedere alle tue connessioni, ad eccezione della tua lista degli amici"; "fornire delle informazioni ai forniti di servizi grazie ai quali mettiamo a disposizione degli utenti i nostri servizi".
La lista delle attività possibili è lunga, ma quello che sinteticamente se ne ricava è che i nostri dati possono circolare liberamente non solo all'interno dei Facebook, ma anche al di fuori, attraverso nostre connessioni esterne, quali ad esempio l'accettazione di un servizio omaggio o la risposta ad un sondaggio di opinione, o, cosa ancora più grave, attraverso le connessioni dei nostri amici che si portano dietro tutti i nostri dati personali.
L'utente può difendersi sostanzialmente in due modi. Il primo, suggerito da Facebook, è quello di intervenire sul proprio pannello di controllo variando l'impostazione "tutti", che dovrebbe essere automatica, e limitando i soggetti a cui rendere accessibili i dati. Il secondo, disincentivato ovviamente da Facebook, consiste nel cancellarsi dal social network.
A ben vedere, però, nessuno dei due dà garanzie assolute. Nel primo caso, infatti, i dati non sono accessibili agli altri utenti di Facebook ma sono comunque conservati dal sito e non si comprende se possano essere in qualche modo trattati. Alcuni articoli dell'ultima ora ipotizzerebbero che, anche se resi invisibili ai terzi, certi dati potrebbero comunque venire trasmessi. Nel secondo caso, anche dopo che ci si è cancellati, Facebook conserva i nostri dati in un backup tanto che quando torniamo a iscriverci riappare tutto il nostro profilo, con tutte le foto e le altre indicazioni così come lo avevamo lasciato. La nuova normativa di Facebook prevede che questa conservazione non potrà essere superiore a 90 giorni dalla cancellazione e ci auguriamo che possa essere davvero così.
La questione della privacy è un problema di grande rilevanza e di difficile soluzione per Facebook che, da un lato, ha bisogno di potere in qualche modo trasformare i dati e le informazioni degli utenti in qualcosa di spendibile, dall'altro deve stare attento alla sensibilità dei propri iscritti.
Già agli inizi del 2009, quando Facebook contava 150 milioni di iscritti contro i 500 milioni di oggi, e veniva stimato intorno a £10bn, alcuni analisti ebbero a dire che questa somma risultava eccessiva in quanto il social network non aveva trovato un sistema per sfruttare commercialmente l'enorme numero di utenti. Sempre in quel periodo in un'intervista al The Sunday Telegraph Randi Zuckerberg, direttore marketing e sorella del celebre Mark Zuckerberg, dichiarava di avere "tonnellate di persone" che definivano Facebook come un'incredibile strumento di business ed evidentemente gli sforzi dell'azienda sono andati in quella direzione, dovendo fare i conti però con la privacy.
In Italia esiste da molti anni una normativa sulla privacy, da ultimo contenuta nel D. Lgsl. 196/2003, che impone a chi raccoglie, usa o conserva dati personali di terzi, una serie di obblighi, quali quello di fornire un'accurata informativa sul trattamento dei dati e quello di conservare i dati in modo appropriato, approntando tutta una serie di misure di sicurezza, fisiche ed informatiche, per evitare che questi dati possano andare persi o cadere inavvertitamente nelle mani di terzi. Oltre agli obblighi previsti per chi detiene i dati, vi sono i diritti dei soggetti che forniscono i dati, tra cui quelli previsti dall'art. 7 del D. Lgsl. 196/2006 e primo tra tutti il diritto dell'interessato di potere richiedere in ogni momento la cancellazione dei propri dati personali. Questa bipolarità è poi incentrata sul "consenso" che l'interessato, una volta ricevuta l'informativa, deve fornire affinché i propri dati siano trattati dal terzo nei limiti indicati nell'informativa stessa. Altro principio cardine è quello della "proporzionalità" del trattamento per cui non si possono chiedere dati personali in eccesso rispetto a quelli che sono necessari per rendere un determinato servizio.
Negli Stati Uniti non esiste una normativa sulla privacy rigorosa come quella dettata a livello europeo, ma perché possano essere trasmessi i dati dall'Europa agli Stati Uniti è necessario che il soggetto che riceve e tratta questi dati si impegni a rispettare la nostra normativa. Questo sistema è noto come "safe harbor" e Facebook dichiara espressamente di aderirvi, al di là del fatto che certe operazioni ci parrebbero eseguite In Italia.
Non è questa la sede di discutere sulla liceità della normativa privacy prevista da Facebook, ma certo alcune difformità rispetto alla legge italiana balzano agli occhi.
Non si comprende, ad esempio, quale necessità abbia Facebook di conoscere il sesso di chi si iscrive, dato obbligatorio per l'iscrizione stessa. Analogamente non è piacevole che tutta una serie di operazioni sui dati inseriti volontariamente debbano essere accettate in anticipo da chi si iscrive e non sia invece richiesto, come sarebbe dovuto e più ragionevole, un consenso espresso volta per volta, trattandosi sicuramente di un trattamento eccedente la finalità del servizio.
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