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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2011 alle ore 13:37.

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Una sentenza del tribunale di Milano stabilisce che Google non può associare al nome di una persona le parole "truffa" e "truffatore" nei suggerimenti del suo motore di ricerca. A presentare il ricorso d'urgenza è stato un imprenditore specializzato in ambito finanziario: prepara corsi di formazione e impiega internet per pubblicizzare la sua attività.

Ma chi cercava il suo nome con Google e digitava poi la lettera "t" vedeva apparire subito "truffa" e "truffatore": il motore di ricerca, infatti, ha un software che suggerisce in modo automatico le parole agli utenti, a partire da collegamenti statistici elaborati sulle attività del pubblico online. Per esempio, chi digita soltanto la lettera "m" vedrà la segnalazione di una cinquina di risultati, in un menu a tendina: il primo è "meteo".

Evidenzia la sentenza che "uno degli aspetti maggiormente presenti nei corsi e nelle pubblicazioni del ricorrente è l'attività di 'trading'": è, dunque, un sostantivo che inizia con la lettera "t". Quindi per gli utenti è facile imbattersi nell'abbinamento con "truffa" e "truffatore". Il collegio di magistrati ha sottolineato che "la ritenuta valenza diffamatoria dell'associazione di parole che riguarda il reclamato è innegabilmente di per sé foriera di danni al suo onore, alla sua persona ed alla sua professionalità". E ha chiarito che è il software "suggest" a operare l'abbinamento automatico tra le parole: si tratta, quindi, di un'attività "riconducibile" a Google.

L'imprenditore ha chiesto e ottenuto la rimozione del collegamento operato durante le ricerche online in tempo reale. Il tribunale di Milano conferma, quindi, una sua precedente ordinanza che impediva l'associazione del nome dell'imprenditore con"truffa" e "truffatore". Google, però, aveva presentato un ricorso e non aveva modificato i risultati mostrati su internet come suggerimenti. Nel suo blog Carlo Piana, avvocato dell'imprenditore, ha osservato: "Tutti i casi sono diversi, quindi non vi è alcuna garanzia che casi simili possano portare allo stesso risultato".

Il motore di ricerca, invece, commenta: «Siamo delusi per la decisione del Tribunale di Milano. Riteniamo che Google non debba essere considerata responsabile per i termini che appaiono in "Autocomplete" in quanto vengono previsti attraverso algoritmi che si basano sulle ricerche effettuate in precedenza dagli utenti, non vengono identificati da Google stessa. Al momento stiamo valutando le opzioni a nostra disposizione».

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