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Questo articolo è stato pubblicato il 05 aprile 2011 alle ore 18:03.

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Cresce il rischio che si debba pagare un tecnico installatore patentato per montare apparati di rete più o meno comuni (Afp)Cresce il rischio che si debba pagare un tecnico installatore patentato per montare apparati di rete più o meno comuni (Afp)

Cresce il rischio che si debba pagare un tecnico installatore patentato per montare apparati di rete più o meno comuni, come un router Wi-Fi. L'allarme prende le mosse dai contenuti della bozza di decreto ministeriale, su cui è appena partita la consultazione pubblica.

Sul sito del Ministero allo Sviluppo Economico si legge infatti: «Il Dipartimento per le Comunicazioni del Ministero dello Sviluppo Economico ritiene opportuno avviare una procedura di consultazione pubblica sulla bozza Decreto ministeriale Regolamento di attuazione dell'articolo 2, comma 2, del Decreto legislativo 26 ottobre 2010, n. 198 recante 'Attuazione della Direttiva 2008/63/CE relativa alla concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni».

È un tema emerso già a dicembre, quando un provvedimento del consiglio dei ministri ha dato il via all'iter per la nascita di un albo degli installatori di apparecchiature di rete; ma adesso monta perché i nuovi dettagli contenuti nella bozza fanno tutto fuorché spegnere l'allarme. Per l'utente finale, è rilevante l'articolo 10 della bozza, contenente i casi in cui non sarebbe richiesto l'intervento del tecnico. Molti esperti in queste ore notano che il testo è confuso e, per come è scritto, non esclude i router Wi-Fi domestici. L'utente potrebbe essere costretto insomma a pagare un tecnico per installarli.

Si legge infatti nell'articolo: «Gli utenti possono provvedere autonomamente all'esecuzione dei lavori di cui all'articolo 2, comma 2, quando l'impianto interno di comunicazione elettronica, indipendentemente dalla sua complessità e dalla larghezza di banda offerta dall'operatore di rete, ha una capacità non superiore a dieci punti di utilizzo finale e l'allacciamento dell'impianto stesso alla rete pubblica di comunicazione elettronica richiede il solo inserimento del connettore nel relativo punto terminale di rete. Il solo allacciamento diretto di un terminale ad un punto di utilizzo finale non richiede l'intervento di imprese di cui all'articolo 2, comma 2».

Peccato che i router Wi-Fi abbiano capacità superiori a «dieci punti di utilizzo finale» (se con quest'espressione s'intende, com'è probabile, il numero di utenti che possono accedere alla rete locale). Configurare il router per mettere una password, inoltre, com'è opportuno per motivi di sicurezza, andrebbe già oltre il «solo inserimento del connettore nel relativo punto terminale di rete». Inutile dire che sono operazioni molto facili da eseguire per qualsiasi utente con una minima esperienza della rete.

Negli scorsi mesi, fonti del Ministero avevano rassicurato il pubblico dicendo che «le nuove norme non si applicheranno agli utenti domestici, ma solo agli operatori che installano apparecchiature nelle proprie reti». Ma, adesso che è arrivato il testo dettagliato delle esclusioni, non vi si legge questa distinzione. Arrivano critiche, dal settore, anche all'idea stessa di istituire un albo degli installatori di apparecchiature di rete. L'accusa è di introdurre ulteriori balzelli e burocrazia nel mercato, solo per favorire la lobby dei tecnici installatori. Montare un'apparecchiatura senza autorizzazione - cioè senza ricorrere ad aziende con tecnici iscritti all'albo - comporta una multa fino a 150 mila euro, si legge nella bozza. «Il rischio è di restringere la concorrenza nel mercato di sistemi informatici e alzare i costi di installazione», dice Guido Scorza, avvocato esperto di diritto informatico. «Aziende e PA non potranno più rivolgersi a tecnici di fiducia o al proprio responsabile informatico, ma ricorrere solo a imprese installatrici presenti nell'albo», continua.

Sul piede di guerra è Assoprovider, quindi, l'associazione dei provider minori, secondo cui questo è un «decreto contro la libertà». Negativo però anche il parere dell'Associazione piccole aziende e consulenti per l'informatica (Apici): «Da una prima analisi ciò che emerge è che questa bozza è totalmente inadeguata e - soprattutto - non riflette assolutamente la realtà del settore». «L'impressione è che ci siano forti pressioni per mantenere e rafforzare lo status quo e per evitare una sana liberalizzazione del mercato - affermano da Apici. Su questi temi ci confronteremo e cercheremo di far sentire la nostra voce in quanto la posta in gioco è molto alta, si parla della possibilità di sopravvivenza per molte piccole aziende del settore le quali verrebbero completamente escluse dal mercato». Favorevole invece l'Associazione Operatori Telefonia e Telematica (Assotel): «È un provvedimento che tutela gli utilizzatori».

«È una limitazione incredibile alla concorrenza», afferma invece Fulvio Sarzana, avvocato esperto in diritto d'autore e nuove tecnologie. Che spiega al Sole24Ore.com: «L'art 2 punto 2 equipara gli installatori alle imprese titolari di autorizzazione generale per l'installazione e la fornitura di reti pubbliche di comunicazione elettronica. Gli Isp (Internet service provider) che versano in media 600 euro di contributi governativi dovranno quindi pagare, se vogliono fare il lavoro di installatori Wi-Fi, le cifre molto più alte che pagano gli operatori telefonici (almeno 23 mila euro). Questi invece potranno fare gli installatori senza versare niente in più. Altro elemento assolutamente contrario alla concorrenza è la costituzione di un albo che, come è noto, limita la concorrenza soprattutto delle piccole e medie imprese, ma che è anche un limite alla circolazione dei servizi in sede europea», continua Sarzana. Secondo cui c'è però un aspetto positivo in questa vicenda: «Si decide di porre in consultazione un decreto ministeriale sulla falsariga di quanto fa l'Agcom con le consultazioni pubbliche. Non è una cosa molto usuale nei decreti ministeriali». In questa sede, i soggetti interessati potranno far sentire la propria voce fino al 15 aprile e sperare quindi di cambiare gli aspetti critici del decreto.

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