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Questo articolo è stato pubblicato il 21 aprile 2011 alle ore 06:51.

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Asili nido per imprese, gli incubatori in Italia si moltiplicano con un obiettivo comune: coltivare semi di innovazione e farli germogliare sul mercato internazionale. A distanza di tre anni dall'avvio, a realizzare un «percorso di crescita interessante» sono appena il 5-10 per cento delle startup. E a fare la differenza è quasi sempre la volontà di ferro degli imprenditori nel cavalcare i mercati.
«Rispetto ad alcuni anni fa oggi nel settore digital media è sufficiente investire piccole cifre per avviare un'attività. Noi entriamo nel capitale di minoranza con circa 10mila euro – afferma Mario Mariani di The Net Value, incubatore dedicato allo sviluppo di progetti Ict e new media con sede a Cagliari –. Con il cloud computing gli investimenti infrastrutturali sono molto più bassi. Il business può crescere velocemente senza impegnare ingenti capitali». Solamente dopo aver validato l'idea iniziale con prospettive di mercato, superata la fase di "early stage", entra in gioco la finanza e il venture capital per dare un'importante accelerata.
Il venture incubator H-Farm di Roncade (Tv) ha standardizzato il percorso: i primi tre mesi si parte con 30mila euro, poi altri 200mila e infine, dopo un altro anno altri 250mila circa. «In cinque anni abbiamo sostenuto 27 nuove startup e solo due o tre non ce l'hanno fatta – afferma Riccardo Donadon di H-Farm –. Vediamo circa 400 iniziative all'anno, se poi quelle che scegliamo falliscono vuol dire che abbiamo sbagliato qualcosa».
L'approccio è simile a Padova, nell'incubatore M31 che affianca le startup offrendo anche relazioni, partnership e visibilità. Le imprese del gruppo operano principalmente nel campo biomedicale, delle telecomunicazioni e dell'informatica avanzata, come Adant che sviluppa sistemi d'antenna wireless di ultima generazione oppure Adaptica che progetta componenti e sistemi di ottica adattativa, elementi ottici deformabili e device optoelettronici ad alte prestazioni. «Quando arriva una proposta – aggiunge Mario Mariani – non guardo molto al business plan, ma alle persone, alla loro attitudine nei confronti dei programmi che propongono. I primi anni sono sempre di lacrime e sangue e il team deve essere in grado di attraversare numerose difficoltà, restando sempre disposto a invertire la rotta». (mi.f.)
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Le tante piccole rivoluzioni delle start up italiane

Idee di business. Le case histories selezionate in questa pagina raccontano di un tessuto imprenditoriale creativo e produttivo, presente nel nostro Paese, capace di innovare in ogni ambito, in particolare nel settore Ict e new media. Cresciute all'interno di incubatori oppure nate in chiave artigianale dall'idea di un gruppo di amici, le startup italiane raccontano di tante piccole rivoluzioni, capaci di stupire anche in mercati di nicchia. Il fermento imprenditoriale negli ultimi anni ha spostato la sua attenzione dal mercato delle infrastrutture di base al mercato "apps driven" in cui l'originalità del servizio offerto è la chiave per far decollare il business. La credibilità delle iniziative che nascono sul territorio esplode sui mercati internazionali in particolare quando il business proposto incontra asset riconosciuti del made in Italy, come quello della moda, del food o della creatività.

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