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Questo articolo è stato pubblicato il 06 ottobre 2011 alle ore 09:55.

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«Cercate quello che amerete fare nella vita. Con pazienza. Lo riconoscerete a prima vista. Solo amando quello che fate, farete grandi cose». È un passaggio di quel rarissimo momento di autobiografia che Steve Jobs ha voluto condividere, la lezione a Stanford nel 2005, divenuta uno dei video più commoventi e importanti che si possono trovare su YouTube.

Jobs racconta alcuni episodi fondamentali della sua vita, dall'abbandono dell'università all'espulsione dalla Apple e all'esperienza del tumore al pancreas, senza nascondere le proprie debolezze, per evidenziare con sincerità che cosa quelle storie gli avevano insegnato. E alla fine, richiamandosi alle parole di uno dei suoi eroi giovanili, il creatore del Whole Earth Catalog, Stewart Brand, suggerisce ai ragazzi di coltivare la passione e l'ingenuità, la fame e la follia. Bello, umile, sincero: anche lui, Jobs, ha cercato quello che avrebbe amato fare della sua vita. L'ha cercato con fiducia. E quello che ha trovato l'ha vissuto con tutta la passione, il dolore, l'entusiasmo, l'ingenuità, la felicità che si dedica a una storia d'amore. È questa la chiave della sua storia. Lo si riconosce facilmente, ora che si è conclusa. Ma mentre si svolgeva, non era così semplice: perché non tutto è stato romantico.

Chi era Steve Jobs? Lo hanno definito un genio, un tiranno, un leader carismatico. Ma più spesso, molto più spesso, lo hanno descritto come un mago. Perché per gli ammiratori è stato un creatore di realtà che nessuno aveva visto prima. E per i critici è stato un prestigiatore capace di tirare sempre fuori dal cilindro la sua nuova sorpresa. Già. Un visionario è una persona che pensa diversamente e che, dunque, suscita reazioni contrastanti: c'è chi crede che il suo sia stato un potere soprannaturale e c'è chi non ha mai cessato di tentare si scoprire quale fosse il trucco. C'è chi lo ha applaudito e c'è chi lo ha perseguitato.
Da questo punto di vista, per i maghi e i visionari, non è cambiato proprio tutto dai tempi di Giordano Bruno. Perché, in effetti, ci sono poche biografie di imprenditori segnate come quella di Jobs dalla sperticata affezione dei suoi seguaci e dalla violenta incomprensione degli scettici. Che gli è costata, nel 1985, l'espulsione dalla Apple, l'azienda che aveva fondato con Steve Wozniak e che aveva portato al successo. Visse in esilio una dozzina d'anni, trovando il tempo di fondare altre due aziende come Next e Pixar.

E solo quando la Apple arrivò sull'orlo del fallimento fu chiamato a rifondarla. Nel 1998, quando al MacWorld di San Francisco, dopo la presentazione dei nuovi prodotti, facendo simpaticamente finta di essersi ricordato all'ultimo momento di avere "ancora una cosa" da dire, annunciò "siamo in utile", fu un trionfo: ma non sarebbe stato lo stesso se per arrivarci non avesse dovuto attraversare un inferno. La dimostrazione di come un uomo potesse fare la differenza, in un'impresa, non sarebbe stata altrettanto chiara, se il suo amore per la Apple non avesse dovuto superare una prova tanto dura come l'esserne brutalmente respinto e allontanato. I momenti di trionfo sono stati tanti, da quel 1998, da aver riempito le cronache in ogni parte del mondo. La reinvenzione del business della musica, con l'accoppiata iTunes-iPod. La ridefinizione del telefono, con l'iPhone. L'apertura di una nuova dimensione della lettura e della fruizione dei contenuti digitali con l'iPad. La conquista dei vertici dell'imprenditorialità globale con il riconoscimento registrato a Wall Street, quando la Apple ha raggiunto la capitalizzazione di borsa più alta di tutta l'industria tecnologica.

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