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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2012 alle ore 08:19.

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Alessio Jacona
Il vero startupper, quello destinato al successo, è «profondamente ottimista e, allo stesso tempo, pieno di dubbi e capace di porre mille domande. Non dà per scontato che i tuoi consigli siano giusti, anzi ti sfida e cerca il confronto su tutto. E il bello è che questo non gli impedisce di svegliarsi ogni giorno convinto di poter cambiare il mondo». A parlare è Greg Horowitt, venture capitalist e docente dell'Università di San Diego, nonché co-autore del libro dal titolo «The Rainforest - The secret to building the next Silicon Valley». Un esperto nella selezione del talento, secondo il quale i neoimprenditori degni di attenzione sono caratterizzati da «una fantasia incredibile, da grandi adattabilità, tenacia e determinazione. Dici loro di no e continuano a tornare, perché credono in ciò che fanno».
E per chiarire come il talento del singolo venga prima di tutto, Horowitt aggiunge: «A volte ci capita di sedere al tavolo con qualcuno che ha un'idea poco valida, ma che allo stesso tempo risulta essere tanto promettente da meritare di portare avanti il confronto, di insistere finché non si trovino insieme altre opportunità per lavorare insieme». Nel libro che porta anche la sua firma, Horowitt definisce il modello di funzionamento della Silicon Valley californiana – a oggi l'ecosistema in cui meglio prospera il talento appena descritto – con lo scopo dichiarato di renderlo esportabile e replicabile altrove. Per farlo, ricorre alla metafora della foresta pluviale: «Con essa si intende un ambiente favorevole alla crescita disordinata e libera delle aziende, un contesto dove i Governi devono garantire le condizioni ideali perché queste possano prosperare invece che morire prematuramente di inedia, prive del nutrimento rappresentato da capitali, mentorship e conoscenza».
In Italia ce ne sarebbe bisogno. Resta il fatto che in molti hanno tentato di esportare il modello Silicon Valley, ma nessuno sembra esserci riuscito davvero: «L'errore più comune – sintetizza Horowitt – è credere che per replicarla sia sufficiente costruire qualcosa che ne abbia l'aspetto. Il valore aggiunto risiede invece nel modello organizzativo, nel modo in cui le persone interagiscono, condividono liberamente le informazioni e le idee».
La differenza con i modelli economici tradizionali, basati sulla competizione a ogni costo e «sull'idea che se io do qualcosa a te, allora l'ho persa», salta subito all'occhio. «In Silicon Valley accade il contrario – conferma il venture capitalist – perché c'è abbondanza di idee e di mezzi e tutti hanno ben chiaro che, se ci si aiuta l'un altro, ognuno ne trarrà beneficio».

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