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Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2012 alle ore 11:19.

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La tv si avvicina alla banda larga ma in Italia la strada è tortuosa. Sia per l'insufficiente penetrazione della banda fissa e mobile, sia perché le normative e le recenti autorizzazioni definitive ventennali, rilasciate dal ministero dello Sviluppo, tendono a congelare l'attuale assetto del sistema.

Queste autorizzazioni, rilasciate alle tv nazionali e promesse a quelle locali, sono «trasferibili su iniziativa dell'assegnatario» rispettando quanto prevede il Codice delle Comunicazioni aggiornato secondo le recenti direttive europee: occorre l'autorizzazione del ministero, che deve motivare l'eventuale diniego. Sono cedibili, insomma: e i governi cambiano. Secondo: sono stati autorizzati canali il cui diritto d'uso è stato già ceduto dallo Stato, con l'asta, agli operatori telefonici, come il canale 69 da Monte Penice (Lombardia e pianura padana). O come il canale 24, che faceva parte del beauty contest e che dovrebbe essere oggetto dell'asta da tenersi entro fine agosto, ma che sarà rinviata. Nell'autorizzazione è scritto che si tratta di frequenze soggette a sostituzione con altri canali della banda Uhf.

Nel caso del 69, a seguito del completamento della liberazione della banda 800 Mhz, quella venduta per la banda larga mobile. Nei "considerata" delle autorizzazioni si precisa che le frequenze possono risultare «non utilizzabili per l'intera durata del diritto d'uso».Tutto bene, ma dove si troveranno le frequenze sostitutive di canali destinati ad altri soggetti? Si aspetterà la chiusura di qualche emittente locale? O si vorranno utilizzare quelle del "fu" beauty contest: in questo caso niente più gara riservata alle tv su quelle frequenze (e non sarebbe un male, viste le difficoltà attuali del settore, dalla pubblicità alla pay tv). Sarebbe stato meglio attendere, insomma, prima di rilasciare tali autorizzazioni e di attuare una legge di fine 2010 che va rivista alla luce delle novità intervenute nel settore. Tra le ragioni vi sono il mancato coordinamento con i paesi confinanti e i contenziosi aperti su molte delle frequenze in gioco.

A proposito di tali novità, in un seminario organizzato a luglio da Open Gate Italia a Roma su "L'Italia e la tv del futuro", i ricercatori britannici della Redshift hanno fatto venire la pelle d'oca agli operatori televisivi presenti. La piattaforma digitale terrestre, secondo tali ricercatori, subisce la forte pressione competitiva del satellite e del cavo che offrono un'alta definizione superiore a quella (attuale) terrestre. Dopo la conferenza mondiale di Ginevra 2012, inoltre, la cessione alle Tlc della banda 700 Mhz (canali 50-60 UHF), dal 2015, potrebbe ridurre di un terzo le frequenze a disposizione per l'attività televisiva. In Italia sarà difficile che l'intera banda 700 - assegnata alla tv per vent'anni! - venga messa interamente all'asta per la banda mobile. Lo faranno però i Paesi confinanti, a partire ad esempio dalla Tunisia, rendendo difficile il coordinamento delle frequenze e l'uso di diversi canali da parte delle tv italiane; nel caso della Tunisia in Sicilia e nella Calabria meridionale. In ogni caso, in vista di quello che accadrà nella seconda metà del decennio, il Piano delle frequenze dell'Agcom andrebbe rivisto da subito. Anche perché non lo si è rispettato nell'assegnazione dei canali digitali regione per regione, assegnando tutti quelli disponibili senza lasciare le "aree bianche" prive di assegnazioni previste dall'Agcom.

L'ascolto dei canali terrestri lineari, a sua volta, subisce l'erosione dovuta all'aumento costante del consumo "su domanda" di contenuti video e televisivi, grazie a nuovi terminali come le tv connesse alla Rete, gli iPad, i Pc. Tale consumo, a sua volta, produrrà una forte pressione per destinare altre frequenze, oggi utilizzate dalle tv, alla banda larga, con relativo introito della gara da parte dello Stato. Nel 2016, in Gran Bretagna, il 60% delle abitazioni userà la tv connessa alla Rete come schermo principale, secondo Redshift.

La tv, insomma, deve integrarsi alla banda larga per trovare nuovi sfruttamenti dei propri contenuti: tenerla sotto "protezione" rischia di togliere ai nostri operatori concrete opportunità di sviluppo, ritardando la crescita della concorrenza e dell'intero sistema della comunicazione.

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