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Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2013 alle ore 08:12.

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C'era una volta l'Italia dell'alta tecnologia. E persino gli americani lì ad ammirarci, e perché no, a invidiarci. Correvano i primi anni Sessanta e dai laboratori della Olivetti di Ivrea nasceva la mitica Programma 101 (proprio così, al femminile, per rispetto alla vecchia, cara macchina per scrivere): in pratica il primo personal computer al mondo, l'inizio di una rivoluzione.
C'era una volta? Sì, insomma, quel risultato, il massimo simbolo dell'ingegno italico, una pietra miliare nell'evoluzione dell'elettronica, è davvero irripetibile? Oppure in qualche centro di ricerca, in una università, dal proliferare delle startup e persino nei vecchi e sempre vitali distretti industriali, potrebbe spuntare qualcosa di tanto innovativo e anticipatore, in sostanza un prodotto di importanza paragonabile alla Programma 101?
«Non credo che sia stato un miracolo. Quindi si può riprodurre – assicura Vittorio Marchis, docente di Storia delle scienze e della tecnica al Politecnico di Torino, nonché autore di un libro, «150 anni di invenzioni italiane», in cui si passano al setaccio decine e decine di brevetti di casa nostra –. Però occorrerebbe riprodurre anche il contesto. Le grandi idee, destinate al successo e a stravolgere il mercato, nascono sempre grazie a un insieme di fattori favorevoli».
Quei fattori, alla Olivetti, a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta, c'erano, eccome. Lo ricordano i protagonisti di allora, i superstiti del gruppo guidato da Pier Giorgio Perotto, in un documentario realizzato da History Channel, segnalatissimo sui social network. Per cominciare, un imprenditore illuminato, Adriano Olivetti, morto prima di vedere la nascita della sua creatura, che aveva creduto (e investito) nel passaggio dell'azienda all'elettronica, chiamando i migliori giovani ricercatori a lavorare in quello che riteneva il settore del futuro. Il risultato fu la Programma 101: una macchina da tavolo, trasportabile, programmabile, dotata di una stampante. Costo: 3.500 dollari, contro i 100mila del più economico dei calcolatori Ibm. «Un oggetto che poteva trovare posto sulla scrivania di chiunque, non a esclusivo uso e consumo di una ristretta cerchia di addetti ai lavori» sghignazza nel documentario Bruce Sterling, guru dell'hi-tech. Se ne vendettero 44mila esemplari nel mondo, la grande maggioranza nella tana del lupo, gli Stati Uniti. I giganti Usa, Hewlett-Packard in testa, arrivarono una decina di anni dopo.
E allora? Se l'abbiamo fatto una volta, potremmo rifarlo. «Peccato che solo un'idea su mille si mostri utilizzabile, cioè si traduca in un prodotto – dice Marchis –. E di queste, non più di una su cento si rivela un'autentica innovazione. È il motivo per cui bisognerebbe aumentare, e di molto, gli investimenti in ricerca. Altrimenti le probabilità che si riproduca una Programma 101 si azzerano».

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