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Questo articolo è stato pubblicato il 16 febbraio 2013 alle ore 14:41.

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Rischia di nuovo l'oblio il sogno, o meglio la necessità, di metanizzare la Sardegna. Il progetto del Galsi, il nuovo gasdotto che dovrebbe finalmente pareggiare i conti energetici nella grande isola da lambire con metano aggiuntivo da importare in Italia, si sta impantanando. Il trend economico che attenua i consumi, e quindi le necessità italiane di gas, deprime il business plan degli azionisti (Galsi è il primo grande tubo metanifero italiano dove l'Eni non è presente e vede invece capofila è il fornitore algerino Sonatrach insieme alle nostre Enel, Edison, Hera e la Regione Sardegna attraverso la Sfirs).

Le istituzioni, nel frattempo, hanno smesso di spingere: dopo un decennio di discussioni e progetti la regione Sardegna è scoraggiata e a Roma il governo uscente non può certo fare miracoli. Si aggiungono i malumori del capocordata algerino Sonatrach per l'attenzione preferenziale che il nostro esecutivo avrebbe riservato alle alternative metanifere da est con i progetti (anche questi peraltro impantanati) Nabucco e South Stream. Frizioni che neanche l'ultima missione ad Algeri del nostro premier Mario Monti ha potuto ricomporre. Ed ecco, come se non bastasse, il ciclone giudiziario abbattutosi su Saipem, il campione delle infrastrutture controllato dall'Eni già candidato a realizzare una parte consistente delle opere.

Ancora un rinvio ufficiale
Sta di fatto che la compagnia energetica di Stato algerina conferma il rinvio della decisione finale di investimento. Sull'onda della decisione assunta nel novembre scorso a Milano dai soci del Galsi di rinviare il prossimo tentativo di sblocco ad una nuova riunione convocata per il 30 maggio. Rinvio ufficialmente motivato con "ragioni tecniche" che nasconde tutte le difficoltà. E così la Sardegna continua a rimanere l'unica regione italiana senza metano e per questo in crisi anche nella produzione elettrica, appesa alle forniture dal continente e alle impossibilità di potenziare il suo parco di generazione viste le note difficoltà italiane a costruire centrali con tecnologie alternative al gas. E con un ricorso le rinnovabili che non può certo, almeno al momento, risolvere il problema.

Le (labili) alternative
Contromosse? Nella consapevolezza che la vicenda del Galsi si sbloccherà né facilmente né rapidamente l'ipotesi ancora un po' fantasioso ma non priva di senso riguarda un'alternativa "cugina" del Galsi: almeno un grande impianto di rigassificazione di metano liquefatto (Gnl) trasportato via nave, finanziato magari dagli stessi azionisti del Galsi, con una struttura progettuale che può riprendere alcuni elementi del gasdotto verso l'Algeria, sia nella rete di distribuzione interna, sia nelle condutture di attraversamento dell'isola che in quelle di unione con il continente per creare un bacino di scambio. Se la passano male, del resto, gli altri progetti di potenziamento della produzione elettrica nell'isola. È bloccata anche l'idea della conversione a carbone "pulito" delle due vecchie e inquinanti centrali a olio combustibile di Fiumesanto (320 megawatt) in mano alla tedesca E.On, che potrebbe decidere di chiuderle definitivamente. E rischia di chiudere anche la piccola centrale da 140 MW sempre olio combustibile di Ottana Energia, in mano all'imprenditore Paolo Clivati: doveva essere trasformata a turbogas proprio con la metanizzazione della Sardegna. Resta una labile speranza di una conversione, anche qui, a carbone pulito.

L'occhio lungo dei cinesi
Ma davvero tutto ciò rischia di rappresentare, viste le attuali condizioni del mercato, un cattivo affare? Forse no se consideriamo gli abboccamenti industriali messi in atto negli ultimi mesi perfino dai cinesi, che evidentemente stanno guardando all'Europa e al nostro paese per imbastire buoni affari anche grazie alle condizioni negoziali che potrebbero essere propiziate dalla crisi. Già nel novembre scorso i rappresentanti di Shenzhen Energy Group e di China Environmental Energy Holdings, Gao Zi Min e Billy Ngok, hanno incontrato a Cagliari il presidente della Regione e l'assessore dell'Industria, Ugo Cappellacci e Alessandra Zedda. Una prima ipotesi – come ha confermato la Regione in una nota – riguarda proprio la "possibilità di realizzare degli investimenti nell'area di Fiumesanto" togliendo le castagne dal fuoco a E.On, i cui vertici hanno anche incontrato i possibili investitori cinesi a Dusseldorf.

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