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Questo articolo è stato pubblicato il 26 marzo 2013 alle ore 14:38.

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Il rubinetto che perde, certo. Non lasciare scorrere l'acqua mentre ci si lava i denti, ci mancherebbe. E naturalmente farsi la doccia e non il bagno. Sono tutte buone regole per limitare il consumo - o meglio, lo spreco - di acqua, un bene fintamente sovrabbondante e sempre meno a buon mercato. Ma per limitare in maniera apprezzabile i consumi idrici in senso lato la strada maestra è probabilmente un'altra e passa da ciò che mettiamo in tavola ogni giorno.

Secondo il Barilla Center for Food & Nutrition ognuno di noi consuma in media 137 litri d'acqua al giorno per uso domestico, 167 litri per i prodotti di uso quotidiano e ben 3.496 litri attraverso il consumo di cibi per la preparazione dei quali è stato indispensabile consumare grandi quantità di acqua. Scorrendo i dati ciò che salta all'occhio è che l'impronta idrica di chi si alimenta seguendo la cosiddetta dieta mediterranea consuma indirettamente tra 1.500 e 2.600 litri d'acqua ogni 2mila calorie assorbite. Una frazione di chi invece predilige una dieta a base di alimenti di origine animale che costa, in termini idrici, tra 4 e 5mila litri ogni 2mila calorie.

Numeri apparentemente incredibili che si spiegano con il fatto che per produrre un chilogrammo di pasta secca sono necessari 1.924 litri d'acqua. Tantissimi, ma non quanti ne servono per produrre un chilo di carne bovina, con 15.500 litri in assoluto l'elemento più pesante in termini di impatto idrico tra quelli frequentemente presenti a tavola. Gli altri cibi che richiedono massicce quantità d'acqua sono noci e nocciole, con oltre 9mila litri per chilo di prodotto finale, olio d'oliva poco sotto i 5mila e riso a 3400 litri. Meno forte invece l'impatto di pane (1300 litri al chilo), latte (mille litri per un litro di prodotto), frutta (970) e verdura (325).

La quantità di acqua consumata per l'alimentazione e gli altri bisogni umani è importante anche perché si tratta di una risorsa meno abbondante di quanto si creda. Secondo i dati dell'Onu solo il 3% dell'acqua presente sulla Terra è potabile e di questa il 2,5% è sotto forma di ghiaccio e si trova ai Poli e nei ghiacciai senza essere disponibile per il consumo umano. Quest'acqua non è distribuita in maniera uguale in tutto il pianeta, tanto che nove Paesi posseggono il 60% delle risorse mondiali: si tratta di Brasile, Russia, Cina, Canada, Indonesia, Stati Uniti, India, Colombia e Repubblica Democratica del Congo.

A livello mondiale, l'8% dell'acqua viene destinata all'uso domestico, il 22% a uso industriale e il 70% a scopo agricolo. I valori cambiano però in maniera radicale a seconda dei Paesi. In quelli ricchi l'uso domestico sale all'11%, quello industriale schizza al 59% e quello agricolo cala al 30%. Speculare la situazione per quanto riguarda i Paesi dove i redditi sono medio-bassi: l'uso domestico è all'8%, quello industriale al 10% e quello agricolo all'82%. La relativa stabilità dei consumi domestici percentuali non deve trarre in inganno rispetto al consumo procapite nei diversi Paesi: uno statunitense consuma in media 215 metri cubi d'acqua all'anno, un francese 106, un egiziano 77, un indiano 52, un cinese 32 e un abitante del Mali solo 4.

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