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Questo articolo è stato pubblicato il 16 maggio 2013 alle ore 17:34.

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Con il debutto di Google nel mercato dello streaming musicale non manca più nessuno a certificare l'uscita della musica dalla sua fase di laboratorio. Il cloud di Google promette spazio di archivio (fino a 200mila canzoni) e l'accesso su computer e device mobile a un cataologo di "milioni" di tracce (i numeri precisi non sono ancora noti). Il costo dell'abbonamento è di 9,99 dollari al mese, come la versione premium di Spotify e Deezer ma a differenza dei due rivali non esiste allo stato dell'arte un servizio free basato sulla pubblicità.

Non sono esclusi aggiustamenti in corsa ma al di là di piccole o grandi differenze il mercato dei player musicali sembrano aver trovato il proprio punto di equilibrio. Diversamente da altre industrie che stanno ancora prendendo le misure alla distribuzione via web, cercando di driblare la pirateria con una formula di business che garantisca qualità nell'offerta, la musica digitale è quella che ha trovato nella tecnologia streaming la quadratura del cerchio che cercava. L'indizio che il mercato sia entrato in una fase più matura lo abbiamo avuto con il debutto di Spotify in Italia.

Il nemico da battere? L'outsider: Spotify
La radio in streaming che è stata lanciata qui da noi a febbraio (in contemporanea con Sanremo) è oggi presente in 28 Paesi (compresi Messico, Hong Kong, Singapore, Estonia e Lituania) e ha un pubblico di ascoltatori di 24 milioni di utenti attivi di cui 6 milioni a pagamento. Dal lancio in Svezia nel 2008 Spotify ha raggiunto un giro d'affari intorno al mezzo miliardo di dollari. Alla base del successo c'è l'accesso a un database musicale pressochè illimitato e una formula free su pc che offre l'ascolto gratuito intervallato da spot radiofonici; una offerta premium da 9,99 dollari illimitata e aperta anche a dispositivi mobili e una per pc da 4,99 dollari.

Ma il grande vecchio del mercato legale della muscia resta iTunes
Se è vero che concettualmente Spotify è per Google il nemico da battere, il colosso che da solo muove e ha inventato il mercato legale della musica resta iTunes. Nato nel 2003, il servizio della Apple ha introdotto il concetto di canzone da scaricare a 0,99 centesimi. Cinque anni dopo è diventato il secondo player musicale del mondo, superando il rivale Real Player e nel 2013 Cupertino ha lanciato iTunes Match, un servizio che permette, tramite pagamento di un abbonamento annuale di 24,99 dollari di mantenere sincronizzate le diverse librerie musicali su diversi dispositivi Apple.

Il caso della francese Deezer
Tra i nuovi player a dicembre 2011 in Italia è arrivato la francese Deezer. Sotto il profilo del business l'offerta non è molto dissimile da quella di Spotify. Le opzioni sono pubblicità, oppure abbonamenti dai 4,99 a 9,99 euro al mese. Consente accesso illimitato ad oltre 20 milioni di tracce musicali e, a differenza dai concorrenti, ha stretto accordi con produttori di elettronica di consumo come Samsung, Lg e Toshiba per portare la musica anche sulle smart tv. Sulla stessa falsariga di Deezer sotto il profilo del business model si muovono anche tra gli altri Cubomusic di Telecom Italia (4 milioni) e Rara.com (10 miloni).

I piccoli dello streaming
Un discorso a parte merita Play.me (di Buongiorno, frutto della sua recente acquisizione di Dada.net; 6,5 milioni di brani). Il servizio di Buongiorno si differenzia dalla concorrenza perché ha realizzato una web app in Html5 e offre l'opzione di acquistare musica con il credito del telefonino.

La musica social
Interessante è anche Rdio. Funziona così: collegandosi con Facebook si possono scoprire altri amici connessi al servizio, esattamente come in una community. Con questi è possibile condividere playlist e brani e controllare la loro attività recente. Il modello di business prevede un servizio gratuito su computer ma su device mobili occorre sottoscrivere un abbonamento.

Da tenere d'occhio
Tutti fondamentalmente, da Amazon a Samsung. L'ingresso di Google ha dimostrato che le barriere si sono abbassate. Che la differenza tra big di internet e del cloud computing e attori dell'elettronica di consumo non sono poi così decisive per offrire musica digitale. L'ingresso di Mountain View ha in definitiva dimostrato che l'offerta di tracce online può essere una commodity, un business da connettere a servizi a più alto valore aggiunto.

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