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Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2014 alle ore 09:11.
L'ultima modifica è del 03 marzo 2014 alle ore 14:27.

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«L'innovazione piemontese più riconosciuta nel mondo, negli ultimi anni, è stata Arduino. Innovazione di cui la politica regionale non si è mai occupata, pur nell'enorme dispiego di risorse. È una dura lezione che dobbiamo tenere a mente». L'affermazione non arriva dal mondo dei maker o degli startuppari ma da colui che, quando era alla guida della finanziaria della Regione Piemonte, ha investito risorse nello sviluppo futuro. Mario Calderini, professore prima al Politecnico di Torino e poi a Milano, sta studiando le politiche regionali dell'innovazione. Nella consapevolezza che la tecnologia viaggia veloce, gli scenari economici non stanno ai tempi lunghi della programmazione europea. Ed è bene agire sulle precondizioni della crescita.

Calderini è oggi consulente per il Ministero dello Sviluppo economico di smart specialization, la strategia adottata dall'Unione europea per destinare le risorse dei fondi strutturali (Fesr 2014-2020). Consapevole dei rischi di dispersione e dell'autoreferenzialità delle policy (soprattutto laddove, come in Italia, è mancata storicamente una regia, una visione d'insieme a livello nazionale), la Commissione europea ha invitato le Regioni a individuare delle specialiazzazioni sia a livello di tecnologie abilitanti sia nelle applicazioni industriali. E ha posto l'accento sulla necessità di fare massa critica. Ciò significa che ragionevolmente saranno le Regioni maggiori (ad esempio Lombardia, Veneto, Lazio, Toscana, Piemonte, Emilia Romagna) a poter fare massa critica sulle tecnologie abilitanti, mentre altre punteranno sulle applicazioni delle stesse ai settori dell'industria e dei servizi. Le Regioni devono presentare alla Commissione le loro smart specialization entro la primavera, per poter ricevere i finanziamenti. Ma non c'è il rischio che nell'arco di sette anni il quadro dell'innovazione vada a cambiare? «In effetti si discute molto su questo punto perché si rischia di avere strumenti rigidi. E pure un inopportuno dirigismo. Al contrario, il concetto di smart specialization dovrebbe partire dal basso, dai territori e dall'individuazione dei soggetti in grado di rendere sostenibile una certa specializzazione».

In questo scenario come si collocano i maker, la creatività, le startup innovative che non si riconoscono in specializzazioni prestabilite? «Il caso Arduino dimostra che il potenziale dell'innovazione sta sempre fuori dal perimetro che siamo in grado di osservare - risponde Calderini - Quello che si può fare è avere policy meno invadenti, con processi aperti, inclusivi e partecipativi. Astenersi dagli incentivi a pioggia e lavorare sui fattori abilitanti: pochi grandi poli di competenza su settori ad altissimo rischio e potenziale, formazione, infrastrutture fisiche e digitali».

Su questi ultimi aspetti le Regioni a statuto speciale, come Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Sardegna si sono mosse da anni, forti di eccellenze innovative e risorse. Tra le Regioni a statuto ordinario l'Emilia Romagna e poi il Piemonte, la Toscana, la Lombardia hanno anticipato i tempi con la creazione di piattaforme tecnologiche e poli di innovazione. Nel 2003 l'Emilia Romagna ha creato la Rete Alta Tecnologia, con sei piattaforme (agroalimentare, costruzioni, energia e ambiente, Ict e design, meccanica e materiali, scienze della vita) e 10 tecnopoli nelle province. Grazie ai laboratori a rete le imprese hanno attivato 1.547 contratti di ricerca (coinvolgendo 2mila ricercatori) per un valore di 115 milioni (nel periodo 2009-2013). E il 35% dei contratti è stato coi soli investimenti delle imprese, nonostante la crisi. Ora la smart specialization punta all'innovazione di sistemi esistenti (costruzioni, bioecnomia, manifattura avanzata) e ai settori esistenti in regione e competitivi come salute e creatività. «Non si tratta di scegliere tecnologie o settori ma obiettivi e traiettorie - spiega Paolo Bonaretti direttore dell'Aster, consorzio regionale per la ricerca industriale e l'innovazione – partendo dall'analisi delle tendenze internazionali e dalle risorse che un territorio esprime».

La Lombardia gode di un contesto favorevole con 12 università, molteplici centri di ricerca pubblici e privati, un sistema imprenditoriale di circa 820mila imprese, un'importante rete di infrastrutture. Nove i cluster tecnologici individuati che verranno sostenuti con un milione di euro nelle loro fasi di startup e diventeranno target di riferimento in coerenza con la smart specialization. Sette le aree (aerospazio, agroalimentare, eco-industria, industrie creative e culturali, industrie della salute, manifatturiero avanzato e mobilità sostenibile), sulle quali si concentrerà il sostegno della Regione, ponendo come elemento chiave una cross-fertilization tra i settori industriali e dei servizi, tramite le tecnologie chiave per la trasformazione e modernizzazione delle industrie tradizionali e lo sviluppo delle cosiddette "industrie emergenti". «Regione Lombardia - dice Mario Melazzini, assessore alle Attività produttive, ricerca e innovazione - considera innovazione e ricerca driver fondamentali per uno sviluppo sociale ed economico dinamico e fondato sulla conoscenza. Per questo è priorità assoluta concentrare gli sforzi e risorse per rendere più competitivo e attrattivo il territorio, sfruttando gli strumenti e le misure di sostegno della R&I e fornendo al sistema della ricerca e delle imprese le opportunità e potenzialità di sviluppo: partendo da interventi più snelli (voucher), passando a bandi congiunti in attuazione di accordi sottoscritti con enti pubblici e privati fino alla sperimentazione "in prima persona" di iniziative pilota (appalto pubblico pre-commerciale) di stimolo e qualificazione della domanda di innovazione». Altro obiettivo è portare dall'attuale 1,34% al 3% del Pil gli investimenti per ricerca.

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